Sassalbo: un borgo e i suoi misteri

Voglio partire dall’etimologia di Sassalbo, che nasconde nel proprio nome l’ambiente in cui è inserito, meravigliosi giacimenti di gesso che circondano il paese. Sasso-albo, infatti significa Sasso bianco.

Nella foto si può vedere la parete di gesso a ridosso del borgo di Sassalbo.

Laggiù in fondo alla Valle del Rosaro, da quando fu costruita la Via Militare Modenese nel XIX secolo, Sassalbo è rimasto un Paese isolato dalle direttrici viarie, ma anticamente era un passaggio obbligato per quanti dalla Lombardia volevano recarsi sulla Costa Mediterranea, percorrendo quell’antica via di transumanza, la via del sale una pista perenne che congiungeva Luni a Reggio Emila.
Oggi, Sassalbo è Sede del Parco Nazionale dell’Appennino Tosco Emiliano.
La caparbietà dei suoi abitanti sta cercando un nuovo modello di vita che sappia trarre dalla sua storia, dalle sue tradizioni una formula di nuovo sviluppo sostenibile. Sassalbo è montagna vera, una montagna che invita a vivere in armonia con la natura, a immergerci in questi sassi, in questa storia, in queste tradizioni.

Sassalbo era dominato dalla piccola chiesa dedicata a San Michele, ricostruita per ben due volte nell’arco della sua storia: nel 1843, dopo una grande frana, e nel 1920, a causa del tremendo terremoto che aveva colpito la Lunigiana. Del castello medievale, invece, non resta quasi più traccia.

Chiesa di S. Michele

Ma seguiamo ancora una volta Danica mentre raggiunge il borgo. Qui troverà un altro tassello per completare l’intricato puzzle che gli permetterà di svelare il mistero delle statue stele, un mistero legato alle origini dell’essere umano.

Tratto da L’angelo del male – Il risveglio
Danica notò subito la caratteristica dei suoi tetti: non avevano il camino. Una leggenda raccontava che le abitazioni ne erano prive perché, essendo un borgo costruito dai pirati, questi non volevano rischiare di essere scoperti traditi dal fumo. Secondo un’altra versione, probabilmente la più veritiera, le case non avevano il camino per consentire al fuoco e al fumo di seccare le castagne stese sulle grate.
Sassalbo era completamente immerso nella natura.
Si trovava nel profondo avvallamento creato dal torrente Rosaro, e proprio quel piccolo corso d’acqua aveva regalato agli abitanti del borgo una magia straordinaria. Nel 1930 si era aperta una voragine nel terreno carsico e, nel suo scorrere placido verso valle, il Rosaro era sparito di colpo alla vista degli uomini, per riaffiorare cinque chilometri più a valle.
Appena scesi dall’auto, la ragazza lesse ad alta voce l’articolo di giornale, riguardava l’avvistamento Ufo avvenuto nel 2001.

Ma di questo parleremo successivamente

Nei secoli, il borgo è stato più volte disastrato a causa dei terremoti nel 1481, nel 1767 e nel 1920, i più tremendi. Le cicatrici si vedono ancora oggi: case basse, il campanile del 1767 che spunta ancora dal terreno. Per molti anni è stato diviso in due rioni che comunicavano il meno possibile e questo per l’origine diversa delle popolazioni: i Lochi dove risiedeva la popolazione più antica, Liguri Apuani e la Villa sede delle famiglie giunte nel borgo fra il XVI e il XVIII secolo, attirate dalla posizione ideale per il commercio.
Oggi questa divisione non esiste più, se non nei lineamenti delle persone che hanno caratteristiche diverse.

La leggenda del tesoro nascosto

Sulla cima di un monte di Sassalbo, possiamo ancora vedere i resti di un antico castello costruito a strapiombo sul torrente Raveggio. Si narra che lì vivesse un signore straniero che dominava tutto il borgo.
Era un uomo prepotente e malvagio, che trattava male i suoi sudditi ed era spietato con tutti i nemici. Un giorno quando andò a caccia, fu colpito al cuore da una fucilata e morì. Cominciò a girar voce che lo aveva ucciso un ragazzo, figlio di un signore del paese che era stato privato di tutte le sue terre.
Data la sua malvagità, non lo pianse nessuno, anzi tutti gli abitanti volevano impadronirsi del tesoro che si diceva avesse nascosto il signore in grosse pentole nei sotterranei della torre quadrata del castello.
Molto spesso le pentole, apparivano in sogno ai sassalbini, piene d’oro, di bracciali preziosi, anelli ornati di rubini, diamanti, zaffiri o smeraldi.
Il tesoro faceva gola a tutti, però se ne parlava sempre sottovoce e in gran segreto, in quanto era diffusa la credenza che i tesori nascosti sotto terra fossero di proprietà del demonio e che avrebbe impedito in qualsiasi modo che qualcuno se ne impadronisse.
Tre contadini si ritrovavano ogni sera all’osteria del paese e fantasticavano sul tesoro nascosto. Ne parlavano scherzando, ma ognuno di loro, dentro di sé, pensava a come sarebbe cambiata la propria vita trovando tutto quel bottino.
Una sera, ritrovandosi nella solita osteria, si decisero di andare alla ricerca del tesoro, ma tutto doveva avvenire con il massimo segreto, allo scopo di fuggire alle forze del demonio che vegliavano su di loro e di partire a notte fonda, per non essere visti e scoperti da nessuno.
Così la notte stabilita, muniti di attrezzi si recarono ai piedi della torre quadrata e cominciarono a scavare. Dopo un po’ che scavarono, uno dei tre scese nella buca e ad un certo punto si sentì un tintinnio.
Gli amici rimasero per un attimo esterrefatti, poi si abbracciarono e in silenzio tirarono su la prima pentola. Una volta tolto il coperchio, trovarono tantissimi gioielli e monete d’oro.
Ad un certo punto in lontananza, videro un gregge di capre seguite da un grosso caprone nero e zoppo che faceva molta fatica per raggiungerle.
Convinti che quel caprone fosse il demonio provarono a scappare. Ma non erano ancora partiti che furono scagliati lontanissimo da un fortissimo turbine di vento. I loro compaesani li ritrovarono tutti morti e nacque sempre di più la convinzione che il caprone zoppo, fosse la reincarnazione diabolica del signorotto assassinato.

La leggenda delle 3 campane d’oro

Sempre dalla zona di Sassalbo ci viene tramandata un’altra leggenda, di tre campane piene d’oro che vennero trasportate da Modena in Lunigiana. Non si sa nulla né del mittente e né del destinatario, ma la leggenda racconta che nel 1600 viveva a Modena un ricchissimo signore piuttosto misantropo.
Rimasto vedovo, il suo carattere peggiorò, s’isolò dal mondo e si fece costruire una villa nella parte più boscosa delle sue terre, dove si ritirò a vivere con pochi servitori.
Non ancora contento della sua solitudine, fece distruggere la strada che portava verso la sua casa, di modo da non avere visite da nessuno. Una notte, sognò la moglie che aveva amato così tanto che la sua morte lo mandò nella disperazione.
Nel sogno la moglie gli disse che era molto preoccupata per lui, ma in quell’istante l’uomo si svegliò e rimase a pensare per tutta la notte a quel sogno.
Passato qualche tempo, una notte l’uomo rivide in sogno la moglie, gli suggeriva di lasciare la villa e tornare a vivere in mezzo alle altre persone.
Di nuovo il sogno svanì e così l’uomo si rese conto di non amare più quella vita ma di tornare in mezzo agli altri proprio come gli diceva la moglie. Così la mattina dopo retribuì tutti coloro che avevano lavorato per lui, chiuse la villa e se ne tornò a Modena.
Qualche giorno dopo, bussarono alla porta dei masnadieri, che giravano armati per le campagne, portando via tutto ciò che trovavano.
Non incontrando nessuno, si misero a cercare nella villa, scesero in cantina, presero tutto quello che trovarono e non contenti si misero alla ricerca di monete d’oro.
Quando le trovarono, staccarono le campane di bronzo del campanile di una chiesa e le riempirono di monete d’oro.
Rubati una treggia e due buoi ad un contadino, organizzarono il trasporto sulla strada dell’Appennino. A pochi metri dal Passo del Cerreto, vicino alla sorgente del Rosaro, la treggia cominciò a sprofondare e i masnadieri cominciarono a gridare vedendo tutto il loro bottino scomparire, ma non potendo fare niente, staccarono dalla treggia i due buoi, che già stavano scomparendo insieme al bottino.
Si racconta che in seguito si tentò più volte di scavare nella zona alla ricerca del tesoro ma non si trovò mai nulla.

Ora passiamo dalle leggende al mistero degli Ufo di Sassalbo

Vediamo subito cosa sa Danica degli Ufo avvistati a Sassalbo nel 2001

Tratto da L’angelo del male – Il risveglio
Appena scesi dall’auto, la ragazza lesse ad alta voce l’articolo di giornale.
«Il Tirreno 13 luglio 2001. Lo strano oggetto era lungo circa 15-20 metri, di forma cilindrica ma schiacciata, con due protuberanze ai lati che percorrevano l’intera superficie. Era situato precisamente in mezzo alle sorgenti dei due piccoli corsi d’acqua che scendono a valle ai lati del monte. Sentito Paulo? Questa è la descrizione fatta dal signor Malagò. Era stato lui ad avvistare l’Ufo per primo, seguito poi da una trentina di persone.»
«Interessante. Non conoscevo questi fatti. A quel tempo ero ancora in Polonia.»
«Tra il 15 e il 16 giugno del 2001, alcuni abitanti di Sassalbo avevano avvistato un Ufo in prossimità di quel monte.» Danica lo indicò col dito.
«Quello è il monte Giogo» asserì prontamente Paulo. «Ho sentito dire che lì, un tempo, sorgeva un’installazione NATO.»
«Sì, mi sono documentata sul web e ho letto anche di questo. Voglio scoprire cos’è successo di preciso durante l’avvistamento.» Danica aveva omesso volutamente di raccontargli dove aveva trovato quell’articolo di giornale e, soprattutto, chi glielo avesse fatto trovare.
«Cos’hai in mente di fare?»
«Ho telefonato a Tommaso Malagò fingendo di essere una giornalista, e oggi lo intervisterò. Forse, grazie a lui potrò scoprire qualche elemento in più. Tu ora vai, altrimenti arriverai tardi al tuo appuntamento. Ci vediamo qua tra un’oretta.»

Qui sotto potete vedere un articolo de La Nazione relativo all’avvistamento

«Ho visto per primo l’ufo di Sassalbo» un grossetano autore dell’avvistamento di giugno.

«Era lungo circa 15-20 metri, largo circa 150 centimetri, di forma cilindrica ma schiacciata, con due protuberanze ai lati che percorrevano l’intera sua superficie. Era situato precisamente in mezzo alle sorgenti dei due piccoli corsi d’acqua che scendono a valle ai lati del monte». è la descrizione di un Ufo fatta da un maremmano, Carlo Giannarelli. Quello che era stato avvistato il 15 giugno scorso sull’Appennino massese, a Sassalbo (Giannarelli ne è originario e era lì in vacanza con la famiglia): era stato lui a scorgerlo per primo. E ne parlerà alla puntata del «Maurizio Costanzo show», portando con sé alcune foto scattate in quello stesso luogo quindici giorni più tardi. «Non sono un ufologo – premette- Queste storie non mi hanno mai appassionato prima. Ma quello che ho visto è tutto vero». E così Giannarelli, 37 anni, già vigile del fuoco e adesso nel mondo dell’editoria, racconta di quella sua gita con la Vespa sui monti di Sassalbo, del suo addentrarsi a piedi nel bosco alla ricerca di piccoli legni per l’hobby delle sculture. In località cava «La Tecchia Bianca», guardando davanti a sé, a tre chilometri di distanza, aveva notato un oggetto brillante: «Pensavo che fosse uno strumento per misurazioni meteorologiche, oppure uno strano tipo di radar». Affascinato, Giannarelli era rimasto a guardarlo (erano le 20): «Non c’era vento, non si sentivano cantare gli uccelli, non c’erano insetti. Tutto era fermo. Si sentiva solo lo scroscio dell’acqua del torrente. Alle 21, era buio, tornai indietro». Ai genitori non disse nulla, ma ne parlò con gli amici al bar: «Bello quell’oggetto di metallo per misurare la temperatura, sotto l’Ospedalaccio dove nasce il canale». Insieme agli amici increduli era tornato sul posto e con i fari (era mezzanotte) aveva illuminato l’ufo. Il giorno dopo, però, il tubo non c’era più, schizzato via verso Reggio Emilia, visto da una trentina di abitanti del paesino, prima interpellati dai carabinieri e poi intervistati dai media di tutta Italia, accorsi dopo la notizia dello strano avvistamento. Perché non parlarne subito? Giannarelli dice che aveva voluto evitare pubblicità e di essere stato convinto da uno degli amici del paese: alcuni ufologi, gli aveva detto, hanno rilevato in zona la presenza di onde gamma. E il 30 giugno il fotografo-ufologo Marco Peruzzi aveva ritratto un cilindro (le foto sono nel sito guide.supereva.it/ufologia). Giannarelli ha anche elaborato uno schizzo dell’oggetto da lui avvistato.

Il sinkhole di Sassalbo

Il sinkhole di Sassalbo, la grande voragine di origine carsica che si è aperta nel borgo appenninico, diventa oggetto di studio da parte del Dipartimento di Geologia dell’Università di Modena e Reggio.
Lo sprofondamento è avvenuto all’inizio del marzo scorso e coinvolge in parte la copertura detritica dei “Gessi triassici” della Formazione di Burano, risalente al Triassico superiore (circa 200 milioni di anni fa).
Le formazioni di gesso, anidrite, calcite e dolomite presenti nell’Appennino settentrionale vengono studiate da anni e sono state oggetto di un importante progetto, Life Gypsum, seguito dal Parco Nazionale dell’Appennino Tosco Emiliano.