“Il sapiente utilizzo dei conci di pietra aveva creato una struttura armonica, spezzata solo dai contrafforti laterali e dalla bifora posta sopra il portale. Quasi fosse il padrone di casa, Gino aprì il portone, che cigolò in modo sinistro. Martin osservò con attenzione la simmetria della costruzione. La pianta basilicale a tre navate, con colonne e archi a tutto sesto, creava un corpo trapezoidale che lasciava poca differenza tra lunghezza e larghezza. La forma austera esaltava i capitelli figurati, vero e proprio tesoro dell’edificio. Fu subito attratto da quelle figure che non si aspettava di trovare in una chiesa cristiana: sirene bicaudate che mettevano in bella mostra il proprio sesso, uomini itifallici con il pene eretto, leoni ruggenti, cammelli e altri simboli che mostravano chiaramente una matrice pagana.
… Uscirono dalla pieve e si diressero con passo veloce verso la parte più vecchia del paese, oltrepassando il ponte medievale, che assomigliava a un sinuoso serpente di pietra. Negli anni Settanta, alcuni interventi poco rispettosi dell’architettura, fra cui un’asfaltatura pesantissima, avevano soffocato la sua bellezza. Per fortuna le pietre originali erano state riportate alla luce da un intervento effettuato poco tempo prima dal Comune di Casola. La struttura medievale era ancora integra e poteva nuovamente essere ammirata da tutti.”
da Rosso Scarlatto
Lunigiana, terra magica e misteriosa
Desidero accompagnarvi in una terra magica e misteriosa, ancora poco conosciuta dalla maggior parte degli italiani, la Lunigiana. Prima di addentrarmi nello specifico, voglio ringraziare due ricercatori locali, Rino Barbieri e il compianto Enrico Calzolari, scomparso poche settimane fa. I loro studi sono stati fondamentali per redigere questo articolo.
Regione oggi suddivisa tra Liguria e Toscana, la Lunigiana è un territorio ricco di storia e di storie. Il suo nome deriva dalla città romana di Luni, situata alla foce del fiume Magra.
Questo approdo sicuro era già conosciuto al tempo dei Greci, che lo utilizzavano come scalo lungo la rotta occidentale, basilare per la conquista del Mediterraneo. I Greci avevano dedicato la baia alla dea Selene (per i romani Diana Lucifera, conosciuta anche con l’epiteto di Luna), divinità cosmica solitamente rappresentata con lunghe vesti argentee e una torcia in mano. Di notte, la luna era l’unica fonte di luce per i naviganti, per questo affidarsi e pregare quella dea era fondamentale per ogni equipaggio.
Presto i Romani sostituirono i Greci nel dominio di quella regione così importante. Furono quindi costoro a sfruttare il porto naturale incastonato nella costa, una baia sicura e tranquilla a forma di falce. Oltre alla consacrazione alla dea Diana/Luna, probabilmente fu anche la particolare conformazione del territorio a influenzare il toponimo della città sorta nell’anno 177 a.C. per opera di Marco Emilio Lepido.
Col passare degli anni l’importanza di Luni fu tale che il suo nome fu utilizzato anche per indicare l’intero territorio circostante.
Dopo la caduta dell’impero romano, l’area fu occupata da Ostrogoti, Bizantini, Longobardi e Franchi.
Carlo Magno nell’802 investì la famiglia degli Adalberti, che divenne per qualche tempo l’unica padrona di questa terra magica. Loro eredi furono prima gli Obertenghi, e poi un loro ramo cadetto, i Malaspina, che attraverso palazzi e castelli plasmarono la fisionomia della Lunigiana.
In questo contesto ricco di storia e architettura troviamo un borgo dal fascino irresistibile e misterioso, Codiponte.
Nonostante la semplicità apparente, la piccola frazione del comune di Casola in Lunigiana è simile a uno scrigno ricolmo di tesori: statue stele, un castello abbandonato, tracce di culti pagani all’interno della sua pieve e simboli che richiamano alla mente gli immancabili templari.
Enrico Baccarini, compresa l’importanza della ricerca, mi ha fatto una piacevole sorpresa ed è venuto in Lunigiana per andare assieme alla scoperta di quanto custodito nel borgo.
Codiponte fu un importante snodo di collegamento tra il porto di Luni e la città di Lucca. Il fiorente centro di una volta, purtroppo, non esiste più e molte delle case che si inerpicano fino al castello sono oggi disabitate. Camminare tra quelle abitazioni, percorrendo i numerosi vicoli, è stato un piacere per i nostri sguardi, un tuffo nel passato. Anche il vecchio bastione, un tempo dominatore della valle, è ormai un rudere abbandonato. In piedi sono rimaste solo le mura perimetrali, la porta d’accesso al paese e poche vestigia del palazzo medioevale. Secondo l’ipotesi dello studioso Enrico Calzolari, salendo al castello si può vedere un primo simbolo legato ai templari. Incuriositi da questo, siamo partiti alla sua ricerca. Giunti ai ruderi del castello, non avevamo ancora trovato quell’importante simbolo. La ricerca è proseguita per lungo tempo, ma senza risultati. Stavamo rientrando delusi, quando, giunti nei pressi di una delle ultime abitazioni, sono stato attratto verso i resti di una casa. Sulla mia sinistra, di fronte a un forno in pietra e nascosto in una minuscola corte, abbiamo trovato quello che cercavamo. Sul portale di una casa privata campeggiava il bassorilievo indicato da Calzolari. Sotto potete vedere la foto di quanto trovato: la croce templare con a fianco l’immagine di un castello. Forse un’indicazione su chi fossero i veri padroni della fortezza? Un’ipotesi stimolante.
In effetti molte delle pietre mancanti dal castello sono state riutilizzate dagli abitanti per costruire le proprie abitazioni. Nel borgo possiamo vedere ancora oggi portali decorati, pietre sagomate e alcune colonne riutilizzate dopo che il castello era stato abbandonato. Non solo, murata in uno stipite di un portale è stata ritrovata anche una statua stele del gruppo B, con fascia clavicolare e un pugnale raffigurato sotto le braccia. Quindi probabile che anche il “nostro” bassorilievo facesse parte un tempo del castello.
Purtroppo, nei decenni dell’ultimo secolo anche molte case sono state abbandonate al degrado e all’incuria, conseguenza inevitabile dell’emigrazione per mancanza di lavoro. Questo ci ha permesso di sbirciare all’interno degli edifici e farci così un’idea di quali fossero gli arredi di un tempo.
Al di là del ponte invece si trova la parte più nuova del borgo. Qui svetta l’austero campanile che segnala la presenza della pieve romanica dei Santi Cornelio e Cipriano, vero centro attrattivo di Codiponte. L’edificio sacro si erge in prossimità di un importante valico, che fin dall’antichità metteva in contatto la costa con l’entroterra.
Le prime testimonianze della chiesa risalgono all’anno 793 d.C., grazie a un documento che fa cenno a una chiesa “Trasmontes ad Sanctum Ciprianum”. Nel nostro sopralluogo abbiamo visto il basamento di una colonna e quella che un tempo era la fonte battesimale, una sorta di piccola piscina dove si entrava scendendo pochi gradini. Gli unici due elementi risalenti alla sua costruzione originaria.
Dall’esterno colpisce la forma compatta, austera, grazie ai conci squadrati di pietra serena e arenaria: armonia spezzata solo da due contrafforti laterali e dalla bifora posta sopra il semplice portale. Pianta basilicale a tre navate con colonne e archi a tutto sesto. Il suo corpo leggermente trapezoidale lascia poca differenza tra lunghezza e larghezza. La forma severa esalta i capitelli figurati, vero e proprio tesoro da proteggere; patrimonio non sempre compreso anche dagli addetti ai lavori, come si può leggere in una relazione fatta nel 1835 da un ingegnere locale:
“Le colonne portano capitelli tozzi, e con ordinarissimi intagli, che sono assai goffi. Il muro che sostengo e che regge il tetto della navata di mezzo è formato in pietra da taglio, e esso e le colonne sono stati imbiancati”
Per fortuna tale bellezza non ha subito l’intervento demolitore della Controriforma ecclesiastica.
Ma fu solo negli anni ’50 del secolo scorso che fu riabilitata la decorazione scultorea che possiamo ammirare all’interno dell’edificio sacro.
I capitelli sono di tipo cubico scantonato, con cordolo a torciglione quale raccordo al cilindro del sostegno cosiddetto lombardo. Tipologia già presente nel IX secolo, ma più diffusa a partire dall’XI. I capitelli si adattano in diametro e altezza alle colonne, alle quali sono cuciti addosso quasi fossero un vestito. Non si tratta quindi di pezzi predisposti da maestranze specializzate, ma opere realizzate direttamente sul cantiere da veri e propri “sarti” della pietra.
Ogni faccia cubica è divisa in due parti: quella superiore riporta motivi geometrici, quella inferiore figure umane o di animali. Sono queste la vera attrazione della pieve. Non capolavori di estetica, ma bassorilievi che, con la loro forma sobria, rapiscono la mente di chi li osserva. Simboli con significati arcaici che giungono dal profondo passato di questa terra indomita. Simboli oscuri che lasciano trapelare quanto i riti pagani fossero ancora vivi in quest’area costretta a piegarsi all’avanzare del cristianesimo.
Nella pieve la spiritualità prende forma in immagini che ci lasciano stupiti.
Sono assenti figure evangeliche o bibliche, sostituite da bestiari medioevali. Degni di nota sono l’albero della vita, le linee circolari, i fiori a sei petali, ma soprattutto le iconografie animalesche e triviali.
Queste immagini inusuali hanno stimolato la curiosità di molti studiosi che hanno elaborato teorie di confine.
Pare quasi che i capitelli rappresentino uno scontro di immagini tra il bene e il male. Sono forse rappresentazioni che vogliono mettere sull’attenti il visitatore inconsapevole, il fedele tiepido, o cos’altro?
Appena entrati nella chiesa i nostri sguardi sono attratti come una calamita dalla sirena bicaudata che sfoggia sfrontatamente il proprio sesso. Un essere per metà donna e metà pesce che stringe in mano l’estremità delle gambe, trasformate in coda ittica. Per alcuni cristiani questa immagine rappresenta i peccati della carne, la lussuria, mentre per la maggior parte degli studiosi simboleggia il passaggio dal paganesimo alla religione cristiana. La sirena rappresenterebbe la Dea madre, figura simbolo di fertilità, come evidenzia anche l’immagine della vulva.
Alcuni studiosi di frontiera, tra i quali il già citato Calzolari, legano invece questo simbolo ai cavalieri templari che ancora una volta compaiono in questo luogo remoto della Lunigiana. Può anche essere solo una coincidenza, ma in alcuni edifici legati ai Poveri Cavalieri di Cristo sono state ritrovate molte di queste raffigurazioni. Raggiunta la Terra Santa, forse i templari entrarono in contatto con una simbologia millenaria, segreta, che decisero di adottare come segno di riconoscimento in Europa, quasi fosse un linguaggio cifrato per i membri dell’ordine. Forse, come il bassorilievo sul frontone citato in precedenza, era anche questo un segno per indicare che quella chiesa era un luogo sicuro per i propri membri?
Altro elemento bizzarro lo troviamo inciso su un capitello poco distante. Si tratta di una figura maschile, un uomo itifallico che mostra un grande fallo eretto, probabilmente anch’esso legato alla simbologia della fertilità. Una vera sorpresa per i fedeli non trovare sopra queste colonne rappresentazioni evangeliche, ma solo simboli che riportano a una religione primordiale.
Interessanti sono anche le figure zoomorfe. In alcuni capitelli possiamo distinguere un cammello e dei semplici felini, forse leoni, ma sono altre due le rappresentazioni che lasciano perplessi: coda lunga, gambe posteriori più lunghe di quelle anteriori e posizione semi-eretta.
Sempre Calzolari, nel suo libro “Lunigiana e rotta atlantica dei templari”, si è chiesto se queste figure potessero essere canguri, vista anche, sempre per lo studioso, la rappresentazione di questo animale in due siti egizi. Lo scultore voleva forse trasmettere informazioni segrete? E se così fosse, a chi erano destinate? Ai templari?
Questi segni sulla pietra sono così affascinanti che una volta entrati all’interno del luogo sacro siamo rimasti ad ammirarli in silenzio per lungo tempo. Rappresentazioni enigmatiche che hanno solleticano la nostra fantasia, lasciandoci stupiti.
Probabilmente questi segni fanno parte di un messaggio unico che doveva arrivare a destinazione.
E se non ci fosse alcun segreto? Se il messaggio fosse stato rivolto solo ai fedeli non ancora del tutto cristianizzati?
Così la pensa un altro studioso locale, Rino Barbieri. Nei suoi studi, il ricercatore accomuna tre pievi che si trovano in questa parte della Lunigiana: Pieve di Codiponte, Pieve di San Paolo a Vendaso e la chiesa di Santa Maria Assunta a Pognana.
Se non è un linguaggio cifrato e segreto, qual è allora il messaggio di queste chiese?
Per trovarlo, sostiene Barbieri nel suo studio, bisogna calarsi nella realtà del tempo in cui è stata costruita la pieve di Codiponte, un periodo critico dove il cristianesimo voleva affermarsi e soppiantare del tutto i culti pagani.
Una chiesa povera, minimalista, senza arazzi, quadri o statue che rappresentassero simboli cattolici, un luogo che serviva a solleticare l’attenzione della popolazione agreste e analfabeta con la sola pietra scolpita. Questo è stato fatto rappresentando sui capitelli simboli legati al paganesimo, senza raffigurare Madonne, croci o Santi.
Ma continuiamo ad analizzare i simboli dei capitelli. Per farlo voglio citare ancora una volta lo studio di Barbieri, che mi trova d’accordo su molti punti.
Primo elemento da sfatare è quello riguardante il fiore a sei petali. Questo non è un segno apotropaico, utile per allontanare gli influssi maligni, ma è un fiore della vita, che indica la rinascita. Barbieri nel suo studio precisa che questo non rappresenta una margherita, ma un narciso. Sei petali contornano la corona gialla, che al suo interno racchiude tre pistilli, probabilmente un modo per indicare la trinità senza scomodare elementi biblici. Il narciso, di fatti, spunta solo in primavera e preannuncia l’arrivo della bella stagione, forse è stato utilizzato solo per indicare un senso di felicità, speranza e rinascita.
Altro elemento importante che troviamo nei capitelli sono la rappresentazione di circoli concentrici, che in molti erroneamente confondono col simbolo del sole (di solito rappresentato con un singolo cerchio, alle volte con un punto al suo centro). In realtà, indica sempre Barbieri, questi rappresentano l’acqua, prima fonte di vita. Lo studioso spiega in modo chiaro ed esaustivo che “i cerchi concentrici non sono altro che la raffigurazione dei circoli che si formano sull’acqua quando un corpo ne tocca la superficie”. Interessante anche il parere sui capitelli dove sono rappresentate delle figure con le braccia alzate. Queste non sarebbero oranti (persone che pregano) ma la posizione delle braccia e del busto rappresentano l’albero della vita, il tronco e i suoi rami.
Altra intuizione importante fatta da Barbieri riguarda l’abaco che molti studiosi hanno definito intreccio vimineo. Anche a mio avviso questo non simboleggia un intreccio di vimini usato per creare panieri, bensì l’acqua corrente. Ancora una volta quindi un simbolo che genera vita.
Molti dei capitelli presi in considerazione, riportano sugli angoli la figura di un archetto a ferro di cavallo che ne contiene altri. Anche questo è un simbolo rigeneratore: indica che da una vita ne nasce un’altra e così via di seguito.
Ricordandoci le parole degli illustri ricercatori che ci hanno guidato fin qui, usciamo dalla pieve per esaminare l’elemento che ha introdotto il tema templare all’interno della chiesa: il portale laterale, forse anticamente il portale principale. Sullo stipite di sinistra sono rappresentati due volti con uno strano copricapo e su quello di destra tre figure affiancate.
Per Calzolari i primi rappresentano due individui del Mesoamerica, due volti con un copricapo cacique; sullo stipite di destra invece sarebbero rappresentati volti con cappello di pelliccia collegabile ai climi freddi. Questo confermerebbe che in Lunigiana, prima della scoperta dell’America, si conosceva già la rotta verso quel continente.
Per Barbieri invece i volti a sinistra rappresenterebbero i due santi alla quale la pieve è dedicata. I volti sono rappresentati sotto due archi appoggiati a una colonna e non indossano alcun copricapo del Mesoamerica, ma sono colpiti da tre raggi solari, quelli che di solito coronano il capo dei santi.
I tre ovali sulla destra, invece, rappresenterebbero le fasi della vita: prima della nascita, il nascituro e l’uomo adulto. Un bassorilievo che vuol far riflettere sulla caducità della vita e del tempo che passa.
Rientrati in chiesa, esaminiamo la vasca battesimale del XII secolo sulla quale campeggia una croce che, ancora una volta, per Calzolari potrebbe far riferimento ai templari.
Questa si trova al centro dell’Uroboro, un serpente che si morde la coda. Anche questo simbolo rappresenta la vita, la natura ciclica di tutte le cose. Inoltre il serpente, a ogni stagione, muta la pelle e può essere interpretato come segno di rinascita. Per Barbieri non può essere una croce templare perché in alto sembra esserci scolpito un volto umano. Enrico ed io esaminiamo bene questa croce e concludiamo che è solo un pezzo di pietra che si è staccato, nessun volto. Alla base della vasca si vede un animale che potrebbe essere un ariete e dei pargoli fasciati con le mani in alto. La fasciatura con lunghe pezze di lino era un’antica tradizione per far crescere i bambini più sani e forti. Potrebbe questo essere un riferimento al sacrificio di Isacco. Difficile da dire, ma visto che nella chiesa non è presente alcun riferimento biblico, crediamo che sia un’ipotesi da scartare.
Conclusione.
La pieve di Codiponte è, per Calzolari, una chiesa ricca di simboli e codici arcani. Per Barbieri, invece, non contiene alcun segreto: il motivo pregnante dei simboli non sarebbe altro che un inno alla vita, alla nascita e alla rigenerazione.
Quest’ultima spiegazione ci trova d’accordo. La popolazione di queste valli probabilmente non era ancora pronta a capire scene evangeliche e bibliche, perché ancora troppo legata al mondo della natura e del femminino sacro. Per questo nella pieve troviamo simboli legati al culto della Dea madre e non alla Madonna, che però, ben presto, l’avrebbe sostituita.
La presenza nel cristianesimo del culto di Maria fu un grande aiuto alla conversione dei contadini e delle persone meno istruite. Questa popolazione avrebbe ritrovato nella Madonna il femminino sacro, un prezioso legame con la religione atavica. Presto i fedeli, che avevano venerato per secoli la natura e la montagna sacra, avrebbero adorato Maria e suo figlio Gesù.
Codiponte è quindi una chiesa importante per mostrare come avvenne il passaggio dal paganesimo al cristianesimo, attraverso i simboli di fertilità, maternità e femminilità. La pieve di Codiponte non è altro che un inno alla vita, uno strumento per l’indottrinamento di quella gente semplice che presto avrebbe incontrato Cristo.
Prima di salutarvi non posso però esimermi dal parlare di un altro elemento che ha attirato la nostra attenzione prima di uscire dalla pieve: il trittico del XV secolo attribuito ad Angelo Puccinelli. Al centro è rappresentata la Madonna col bambino, a destra i Santi Cornelio e Cipriano, martiri del III secolo, e a sinistra il Volto Santo, crocifisso ligneo acheropita, cioè non fatto dall’uomo, ma creatosi da sé. Questo, giunto miracolosamente al porto di Luni dalla Terra Santa, è transitato da Codiponte prima di raggiungere la sua destinazione finale, Lucca. Restiamo assorti ad ammirare l’opera d’arte, e proprio quando tutti i misteri sembrano ormai risolti, vediamo che nella parte sinistra del trittico, proprio vicino al piede destro di Gesù, è posta una coppa dorata, un calice risplendente.
Forse un riferimento al Graal? Perché mettere una coppa ai piedi del volto santo? Cosa rappresenta? Ancora una volta, l’ombra dei templari solletica le nostre menti.




I capitelli







Altri elementi presenti all’interno della pieve



Portale laterale della pieve

Il borgo



La rocca



