Il volto Santo

Lucca

Ci eravamo lasciati con l’immagine impressa negli occhi della meravigliosa opera esposta nella pieve di Codiponte: un trittico del XVI secolo con al centro la Madonna col bambino, a sinistra i Santi a cui è intitolata la chiesa, Cornelio e Cipriano, e a destra il Volto Santo, con un misterioso calice ai piedi. Ma cos’è il Volto Santo? Ancora una volta facciamocelo spiegare dalla nostra guida speciale, Danica, che è stata a Lucca per studiarlo. Sentiamo come racconta questa esperienza ad un’amica.

Lucca – Cattedrale di San Martino

tratto da “L’angelo del male – Il risveglio

«Pochi giorni fa sono stata a Lucca, nella cattedrale di san Martino, e ho visto il Volto santo» affermò Danica con entusiasmo.
«Sì, mi avevi detto che era una delle tue tappe ma dimmi… Com’è vederlo da vicino?»
«Un’esperienza magnifica, la semplicità delle sue forme e il suo sguardo magnetico mi hanno rallegrato l’anima.»
«Purtroppo non conosco la sua storia. Raccontami dai!» disse Zora incuriosita.
«È una gigantesca croce tridimensionale e supera i due metri d’altezza. Ma la cosa che mi ha più colpito è il volto di Gesù.»
«Perché, cos’ha di diverso dal solito?»
«Tutto: chioma e barba corvini, incarnato scuro e labbra rosse. Ma sono gli occhi che lasciano veramente senza fiato.»
«Dimmi, dimmi! Come sono?»
«Innanzitutto sono aperti, e non chiusi come siamo abituati a vederlo nelle chiese. Sono fatti di polvere di vetro e lamina d’argento, materiali che rendono il suo sguardo vivido, conferendogli un aspetto regale.»

Volto Santo

«Strano, non riesco a immaginarmelo così. Sono abituata alla figura di un uomo straziato, sofferente, invece questo Gesù è completamente diverso.»
«È proprio questa la sua caratteristica. È un Cristo che trionfa sulla morte. La sua espressione preannuncia la resurrezione. Ma non è questa l’unica particolarità.»
«Dai Danica, continua.»
«Aspetta. Che stupida che sono! Ho il volantino che ho preso a Lucca. Guarda, eccolo qua. Vedi, non ha il solito perizoma, ma è coperto fino alle caviglie da una tunica, simile a quella indossata dai sovrani carolingi.»

Volto Santo di Lucca
Cappella Civitali, dove è custodito il Vosto Santo

«Ma è veramente bellissimo! Hai ragione, dal volto non traspare sacrificio o espiazione, Gesù appare trionfante.»
«Per questo la Croce Santa è stata chiamata Volto Santo, perché è quello che caratterizza l’opera.»
«E chi lo ha realizzato?» chiese Zora, sempre più affascinata.
«È stato Nicodemo, uno dei personaggi meno conosciuti del Nuovo Testamento.»
«Infatti, e chi è? Io non l’ho mai sentito nominare.»
Danica conosceva bene la sua storia perché era uno dei personaggi biblici che preferiva.
«Fariseo, membro del sinedrio, dottore della legge, di famiglia benestante e, come ci riferisce il Vangelo di Giovanni, discepolo di Gesù, ma di nascosto. Pensa che volle incontrare Gesù di notte, per parlargli senza essere visto da nessuno. La sua storia mi ha sempre incuriosito.»
«Lo consideravo un uomo timoroso di perdere la propria posizione, un codardo a cui manca il coraggio di lottare per quello in cui crede. Solo da quando ho iniziato questa ricerca ho capito che è stato più vicino lui a Gesù che non gli apostoli, dileguatisi subito dopo l’arresto nel Getsenami per la paura di essere imprigionati.»
«E cosa avrebbe fatto questo Nicodemo per Gesù?»
«Nel momento più difficile della sua vita, lo ha difeso di fronte al sommo sacerdote. Inoltre è stato lui, assieme a Giuseppe d’Arimatea, a staccare il corpo di Cristo dalla croce, ad ungerlo con aloe e mirra e a portarlo nel sepolcro. Nicodemo era tutt’altro che codardo.»

La deposizione dalla croce di Benedetto Antelami

«Da quanto mi stai raccontando sembra proprio così. Quando gli altri sono spariti, lui si è messo in gioco per difendere Gesù» affermò Zora confermando le parole di Danica.
«In pochi sanno che esiste anche un Vangelo apocrifo di Nicodemo, databile ai primi anni del V secolo d.C., dove possiamo leggere la narrazione più dettagliata del processo a Gesù, della crocifissione e della sua ascensione. Un Vangelo dove risaltano proprio le figure di Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo. Pensa che questo racconto fu poi ripreso e ampliato da Robert de Boron, nel romanzo Giuseppe d’Arimatea, dove l’autore racconta che, dopo aver staccato il corpo di Gesù dalla croce, Giuseppe raccolse le stille del suo sangue in una coppa presa dal tavolo dell’Ultima cena.»
«Il Graal?» chiese Zora, sbalordita.
«Credo proprio di sì» rispose Danica con solerzia.
«Ma perché è così importante quel sangue?»
«Perché può dimostrare che Gesù era un semplice uomo e che faceva miracoli solo per intercessione del Padre. Solo così si potrà dare un freno alle teorie che lo descrivono come un alieno e dimostrare che sono soltanto delle cazzate. Anche quella nevrotica di mia sorella si dovrà ricredere!»
«Ma non avevamo promesso di non parlare di lei? Lasciala perdere… piuttosto, dimmi cosa centra la Lunigiana in tutto questo?» chiese Zora.
«Sì hai ragione, niente Danica.»
«Oh, brava. Dai, dimmi della Lunigiana.»
«Certo Tesoro. In questa terra si è svolto l’epilogo finale che riguarda il crocifisso. Per spiegarti meglio devo parlarti della leggenda leobiniana.»

La leggenda leobiniana

Ma lasciamo per un momento la compagnia di Danica per parlare della leggenda leobiniana.
Nel XII secolo, a Lucca, per andare incontro alla crescente venerazione nei confronti della reliquia del Volto Santo, fu redatta una Relatio de revelatione sive inventione ac translatione sacratissimi vultus, un rapporto che riunisce tre nuclei leggendari diversi.
Questo documento contiene il racconto del diacono Leobino, resoconto che avrebbe appreso da «venerabili uomini» che gli avevano riferito del ritrovamento, della rivelazione e della traslazione del Santissimo Volto fino a Lucca.
Questa Relatio è interessante anche perché racconta cosa accadde a Nicodemo dopo la crocifissione di Gesù.
Per la vicinanza al nazareno, l’anziano fariseo fu allontanato dal sinedrio, ridotto in miseria, umiliato e picchiato. Non fu ucciso grazie all’intervento dell’amico Gamaliele, uomo rispettato da tutti. Quest’ultimo lo ospitò nella sua villa di Ramla, sottraendolo così alla persecuzione ordinata dai sacerdoti del tempio. Ancora sconvolto per la morte del nazareno, Nicodemo volle scolpire nel legno l’immagine di Gesù, in modo da rendere eterno il suo volto.
Dopo aver scolpito il corpo di Gesù, riportando esattamente le sue proporzioni anatomiche, Nicodemo si arrestò di fronte alla difficoltà di riprodurne il volto. Durante una lunga preghiera per trovare l’ispirazione, cadde addormentato e al suo risveglio ebbe la sorpresa di vedere l’opera compiuta da mano angelica.
Questa scultura lignea è quindi considerata un’immagine acheropita, cioè non fatta da mani umane. Ancora oggi il Volto Santo, assieme alla Sindone, è considerato dai cristiani la rappresentazione più fedele del volto di Gesù.
In età avanzata, continua la leggenda, prima che Nicodemo morisse, affidò il crocifisso all’amico Isacar, che lo costudì per molto tempo nella sua casa. Costui lo tramandò di generazione in generazione, fino a quando non giunse in Terra Santa un vescovo subalpino, Gualfredo, il quale, grazie a un sogno premonitore, conobbe la storia del Volto Santo.
Gualfredo pagò in monete sonanti l’ultimo custode del crocifisso e, seguendo le istruzioni ricevute nel sogno, per evitare che la preziosa reliquia fosse distrutta dagli infedeli, la fece caricare sopra una nave senza equipaggio. Sarebbe stato Dio a far giungere a destinazione quel carico prezioso: un luogo cristiano dove il crocifisso sarebbe diventato oggetto di culto.
Era il secolo VIII quando la nave approdò a Luni, a quel tempo ancora porto fiorente. I lunensi la videro arrivare senza equipaggio e scesero in acqua per depredarne il carico, ma ogni volta che le si avvicinavano, questa cambiava direzione.
Nel mentre, un angelo apparve in sogno al vescovo di Lucca, Giovanni di Teuperto, uomo pio e morigerato. L’angelo gli ordinò di raggiungere il porto di Luni e di prendere il crocifisso ligneo che si trovava sulla nave giunta dalla Terra Santa. Doveva portare la preziosa reliquia a Lucca, sua destinazione finale.
Il vescovo non perse tempo e raggiunse la città costruita sulla foce del Magra. Si avvicinò al porto cantando inni e pregando incessantemente e, come per miracolo, la nave si diresse verso di lui aprendo i boccaporti.

La predella, proveniente dal polittico di Codiponte, presenta un tema iconografico raro, ovvero il prodigioso arrivo del Volto Santo alle coste di Luni

Appena Giovanni vide il volto ligneo del Cristo esplose in un pianto di commozione. Portato il simulacro a terra, nacque la diatriba tra lunensi e lucchesi su chi dovesse custodire il crocifisso. Il vescovo di Lucca, ancora una volta ispirato da Dio, trovò una soluzione che avrebbe accontentato tutti. Ai lunensi sarebbe andata un’ampolla contenente il sangue di Cristo nascosta in un comparto all’interno del Volto Santo, mentre ai lucchesi sarebbe spettato il crocifisso ligneo.
Un’altra versione della leggenda, invece, asserisce che il crocifisso era stato messo sopra un carro trainato da buoi, e che il prezioso legno sarebbe stato affidato alla città verso la quale si sarebbero diretti gli animali. I buoi si diressero verso Lucca, così il vescovo salì sul carro attorniato dai propri concittadini, e si diresse trionfalmente verso la città.
In questa versione si legge che il Volto Santo, giunto a Lucca durante la notte, sarebbe stato collocato nella basilica di San Frediano. Quando il mattino successivo i fedeli raggiunsero la chiesa per vederlo, però restarono di stucco: il Volto Santo era sparito.
Per fortuna la questione fu subito risolta, il crocifisso era stato ritrovato davanti alla cattedrale di San Martino, in un orto incolto. Qui il vescovo Giovanni fece erigere una piccola chiesa chiamata “Domini et Salvatoris”, che avrebbe ospitato il Volto Santo fino al X secolo, quando la chiesa venne distrutta per opera di popoli provenienti da est. Solo allora il crocifisso fu trasferito in San Martino, dove si trova ancora oggi.
Questa è la leggenda, ma al suo interno è possibile individuare la vicenda storica?
Molti studiosi odierni, a mio avviso giustamente, sostengono che la leggenda sia databile al secolo XII e che riprenda solo in parte quanto avvenuto storicamente.
Per comprendere quali possano essere gli elementi storici dobbiamo però introdurre un’altra leggenda, quella dell’immagine beritense.

L’immagine beritense

Questo racconto riferisce di un’icona di Gesù che si trovava in una casa di un giudeo a Berito (Beirut). L’immagine sarebbe stata trafitta, per scherno, con una lancia da un gruppo di giudei. Dalla ferita sarebbe sgorgato sangue che, “raccolto in un recipiente”, avrebbe guarito miracolosamente decine di ammalati della città. Questo fatto così sconvolgente fu portato come esempio al secondo concilio di Nicea, tenutosi nell’anno 787, per provare la legittimità del culto delle icone. Il sangue fu conservato in un vaso e fu istituita una festa solenne nel giorno dell’anniversario dell’episodio, il 9 novembre.
Perché ho introdotto questo argomento? Cosa unisce questa leggenda a quella di Leobino?
Entrambe fanno riferimento a Nicodemo, perché anche l’immagine di Beirut sarebbe stata realizzata dal fariseo. Anche in questa leggenda si parla di ampolle che contengono il sangue di Cristo.
E non solo.
Alcune di queste furono spedite dal vescovo di Beirut in tutte le terre cristiane, cosa che conferma la leggenda di Leobino, dove ritroviamo una delle ampolle contenenti il sangue miracoloso, nascosta nel crocifisso giunto a Luni con la nave.
Inoltre la chiesa di Berito, fu consacrata al Salvatore, proprio come la prima chiesa di Lucca che ricevette il Volto Santo. In più nella città lucchese si celebravano tre feste: iniziazione, esaltazione della Croce e solennità del Salvatore, quest’ultima festeggiata il 9 novembre, data del miracolo beritense.
Come detto, la leggenda leobiniana fa riferimento al sangue di Cristo, arrivato nascosto all’interno del crocifisso. Che fine ha fatto questo sangue?
Un’ampolla si trova a Sarzana, cittadina che rientrava nella diocesi di Luni, un’altra si trova a Lucca nella chiesa di San Frediano.
Quindi le ampolle erano due?
Ecco la mia ipotesi. Anzi preferisco lasciar la parola a Danica e ai suoi studi.

tratto da “L’angelo del male – Il risveglio

«La mia lettura è completamente diversa da quanto riportato nei vari studi» disse Danica «Secondo me, la vera reliquia era il sangue di Cristo contenuto all’interno della croce, e non la croce stessa. Probabilmente qualcuno dalla Terra Santa aveva inviato il Preziosissimo sangue, come è chiamato dai fedeli, al vescovo di Lucca. Ma un intoppo fece arrivare il carico a Luni. Qui la diatriba si risolse a favore dei lunensi che, capitane l’importanza, non vollero privarsi della sacra reliquia ematica e affidarono ai lucchesi il crocifisso ligneo. Il vescovo Giovanni portò trionfalmente a Lucca quello che sarebbe passato alla storia come il Volto Santo. Probabilmente al suo interno c’era anche il sangue di Cristo, ma era solo una lacrima donata a Lucca dai lunensi che ne tennero la maggior parte. A Lucca, proprio per l’esigua quantità, il sangue fu messo in secondo piano, tant’è che non si trova nella cattedrale, bensì nella chiesa di san Frediano. La curia perciò decise di incentrare l’attenzione sul crocifisso, sull’involucro, che fu trasformato in una vera e propria reliquia, e questo anche grazie alla leggenda di Leobino, che venne adattata alle esigenze lucchesi.»

Proprio come sostiene Danica, è probabile che il crocifisso tunicato altro non fosse che un reliquiario contenente il sangue beritense di Cristo.
Potrebbe essere che, nel corso del tempo, il contenitore della reliquia si sia trasformato in reliquia anch’esso, diventando quindi oggetto di venerazione.
Sulla leggenda di Berito quindi si innesta quella di Leobino. Quest’ultima fornisce dignità propria al crocifisso, come reliquia individuale, senza dover più essere legato al sangue dell’ampolla.
Attraverso lo scritto di Leobino i canonici della cattedrale esaltarono il Cristo tunicato, facendo credere ai fedeli che fosse stato realizzato da Nicodemo, importante e privilegiato testimone della Passione.
Grazie al fariseo, i credenti potevano vedere il vero volto del Salvatore e le sue proporzioni anatomiche. Quindi Lucca sarebbe stata la sola a possedere una tale reliquia e, a mio avviso, nel giro di alcuni decenni la celebrazione iniziale del sangue fu sostituita da quella del crocifisso ligneo.
Ma l’influsso sul Volto Santo non venne solo da Berito. Grande influenza ebbe anche il popolo franco, al quale probabilmente dobbiamo la particolare tunica indossata da Gesù. Anche i riferimenti temporali che troviamo nella leggenda leobiniana avvicinano il Volto Santo al popolo germanico. Di fatti, l’approdo della nave a Luni “nell’anno 742, al tempo di Carlo e Pipino, serenissimi re, nell’anno secondo del loro regno”, è un anacronismo, forse errore di un copista. La data va posticipata all’anno 782, anno successivo alla nomina di Pipino come re d’Italia. Inoltre anche il beato Giovanni, che resse la diocesi di Lucca dal 781 fino all’800, era di origine franca, e questo rafforza l’influsso di questo popolo nella realizzazione del crocifisso tunicato.
Trovate le doppie origini della reliquia, è tutto chiarito? Niente affatto.
Ritorniamo al trittico descritto all’inizio di questo articolo, all’opera esposta nella pieve di Codiponte.
Perché è presente il calice ai piedi del Volto Santo? Adesso la risposta sembra a portata di mano: ce la fornisce il recipiente della leggenda di Berito. Ma se così non fosse? Se l’importanza del sangue di Cristo non derivasse dai miracoli e da Berito?
In realtà non era solo il Sangue del Salvatore a fare miracoli. Nei secoli sono stati molti quelli attestati da altre reliquie. Anche lo stesso Volto Santo ne fece alcuni e, in particolare, a noi interessa quello del calzare d’argento.

Il miracolo del calzare d’argento

Si narra che un giullare devoto alla reliquia, essendo povero, offrisse al Cristo l’unica cosa che possedeva, la sua arte giullaresca. Ben presto questo destò l’ira dei devoti e soprattutto dei prelati. Un giorno il Volto Santo, già agghindato con ori e altri materiali preziosi dai canonici, forse per mostrare il suo apprezzamento, lasciò cadere per terra una delle calzature che gli avevano infilato, quasi volesse pagare il giullare per lo spettacolo offertogli. L’uomo prese il calzare ringraziando Gesù, ma fu subito accusato di furto e incarcerato. Dopo l’arresto ogni tentativo di ricollocare la preziosa ciabatta al suo posto fu inutile. Essa veniva respinta da un’energia che proveniva dal legno, come a dire che quella calzatura fosse ormai un dono fatto al povero, ingiustamente incarcerato. Questo avvalorò la tesi sostenuta dall’uomo, che fu creduto e quindi rilasciato. Ancora oggi la ciabatta del Volto Santo non è fissata al piede del crocifisso, ma è semplicemente appoggiata su di un calice dorato, proprio come abbiamo visto nel trittico di Codiponte.

Immagine del XV secolo che inaugura la sequenza delle miniature che illustrano i miracoli del Volto Santo contenuti nell’appendice alla leggenda di Leobino.

Se non è per ricordare il sangue di Berito, allora il trittico di Codiponte vuole ricordare il miracolo del calzare? O forse ha un significato più profondo e nascosto?
Prima di rispondere, voglio tornare alla domanda iniziale: perché il sangue di Cristo è così importante? Per i miracoli? Per la discendenza di Cristo attraverso i Merovingi, come scritto nel libro nel “Codice da Vinci”? Il sacro calice si riferisce a una discendenza reale?
Ancora una volta la mia risposta è negativa. Il trittico col calice nasconde qualcosa di più importante del miracolo fatto al giullare e non riguarda neanche una discendenza reale. Penso che sia un altro il segreto del sangue raccolto nella coppa e che ormai mi resti solo questo da spiegare.
Sto per concludere il brano e dare la risposta, quando mi imbatto nelle considerazioni dello studioso d’arte Piero Donati, considerazioni che subito mi affascinano.
Anche Danica conosce gli studi di Donati e voglio lasciare a lei i saluti.

tratto da “L’angelo del male – Il risveglio

«Danica, è veramente incredibile la tua ricostruzione. Capeau!» affermò Zora, mimando il gesto di togliersi il cappello.
«Naturalmente la mia è solo un’ipotesi. Devo continuare la ricerca e per farlo sposterò la mia attenzione su Luni. Credo che sia lì la risposta che cerco.»

Anche noi siamo curiosi di capire cosa si nasconda a Luni, perciò la seguiremo in questo ennesimo spostamento.

Bocca di Magra – Monastero del Corvo

Come promesso eccoci in viaggio verso il Monastero del Corvo. Riparto dalle considerazioni fatte dal ricercatore ligure, Piero Donati, secondo il quale il vero Volto Santo, o per meglio dire il più antico, non è quello che si trova a Lucca, bensì quello del monastero del Corvo, a Bocca di Magra in provincia di La Spezia.
Non mi sembra possibile, la storia del Volto Santo è ricca di colpi di scena più di un giallo.
La curiosità è tale che decido di andare a fare un’ispezione direttamente sul campo e faccio squadra con Sonia e gli amici di Luni & Apuania, esperti delle tradizioni e della storia locale.
Presto raggiungiamo la parte più esterna del promontorio Caprione. Giunti nel grande piazzale, parcheggiamo di fronte alla struttura alberghiera gestita, a partire dalla seconda metà del XX secolo, dalla confraternita dei carmelitani scalzi. Questa si trova poco sopra il monastero, è circondata da un parco di circa 10 ettari, in gran parte boschivi. La struttura di ricezione ha l’aspetto di un castello in stile neogotico, opera della famiglia Fabbricotti, noto industriale del marmo, e proprietario della struttura fino al fallimento avvenuto nella prima metà del Novecento.

Non dimentichiamoci che anche Danica è giunta fino a qui, dunque lasciamo fare a lei la descrizione che ritroveremo in parte anche nel mio romanzo L’angelo del male.

Monastero del Corvo

tratto da “L’angelo del male – Il risveglio

Mentre camminava nel piazzale alla ricerca della stradina che conduceva al monastero, Danica restò folgorata dal panorama che aveva di fronte: lo specchio d’acqua della baia rifletteva le cime spruzzate di neve delle Apuane, eterni guardiani della foce del Magra. Un colpo d’occhio unico, meraviglioso.
Quando si diresse verso la cappella che custodiva il Volto Santo, conosciuto anche come Cristo Nero, fu pervasa da una strana pace interiore, e solo allora capì perché i monaci avevano scelto quel promontorio per costruire il monastero.
Prima dell’anno mille, in quel luogo sorgeva un ospitale eremitico, del quale non era rimasto nulla. Probabilmente in quella struttura esisteva anche una cappella dove adoravano un crocifisso primitivo, forse il precursore di quello attuale.
Danica pensava che, a quel tempo, fosse venerato lì un crocifisso aniconico, e che il vescovo Pipino di Luni, visto il successo del Volto Santo nella vicina Lucca, avesse deciso di fondare un monastero da dedicare a Dio e alla Santa Croce.
Come aveva letto nel sito ufficiale dei Carmelitani, l’attuale edificio risaliva al XVII secolo, quando, in un anno non precisato, la Cattedrale di Sarzana ripristinò al Corvo il culto del Volto Santo, caduto in oblio per circa trecento anni a partire dal XIV secolo. In quella occasione fu trasportata con grande solennità una maestosa immagine della reliquia, identificabile con l’attuale Croce.
Superò un piccolo arco in pietra, alla cui sinistra si ergeva quel che restava di un’antica torre militare. Si trattenne un po’ nel chiostro neogotico, dove predominava il color rosso dei mattoni e fu attratta da una nicchia nel muro contenente un piccolo busto. Era il volto di Dante, posto sopra una lastra marmorea che ricordava il suo passaggio in quel luogo.

Dante e il Monastero del Corvo

Il volto di Dante, posto sopra una lastra marmorea, ricorda il passaggio del Sommo Poeta in questo luogo. Ignoravo il fatto. Una leggenda narra che Dante avrebbe lasciato a frate Ilaro una copia dell’Inferno da spedire al capitano di ventura Uguccione della Faggiola.
Sto ancora riflettendo su questa storia, quando lo sguardo mi cade sulla porta d’ingresso della cappella e di colpo mi dirigo verso il Cristo nero.

Mi aspetta a braccia aperte, fissato su una croce moderna che contrasta con l’effige medioevale. Nessuna foto restituisce la bellezza dell’originale. Restiamo in silenzio ad ammirare quel legno lavorato con maestria e tornato all’antico splendore dopo il restauro del 1957.
Anche il Volto Santo del Corvo è polimaterico. Occhi in pasta vitrea, torace e testa in pioppo, piedi in noce, mani e parte anteriore delle maniche in salice. Mi colpisce in particolare la simmetria dei lunghi capelli e la barba perfettamente divisa a metà sul mento. L’imponenza dell’opera è resa ancora più incombente dalle piccole dimensioni della cappella. Fissato da quegli occhi perennemente aperti, mi sento quasi in soggezione.

L’ipotesi dello storico dell’arte Pietro Donati

Mentre guardo il Cristo Nero mi tornano in mente le parole di Piero Donati: “il prezioso crocifisso del monastero di Santa Croce del Corvo è più antico di quello esposto in San Martino. Per essere precisi, questo crocifisso del XII secolo era quello venerato a Lucca prima che fosse sostituito dall’attuale”.
Incredibile il gioco ad incastri tra leggende e storia.
Ripenso all’ultima scoperta fatta da Eliana Vecchi relativa al documento originale riguardante la costituzione del monastero. Neanche questo fa indietreggiare Donati dalle sue conclusioni, e forse fa bene a non farlo.
In un documento autentico del prefetto, simile ma non identico alla copia utilizzata dal copista del Codice Pelavicino, nella formula con cui Pipino prescrive che il Monastero sia fondato in onore di Dio e della Santa Croce e del beatissimo Nicholay confessore, troviamo quest’ultimo nome troncato con la forma Nich e interpretato dagli storici come Nicodemo. In realtà il documento originale analizzato da Eliana Vecchi non fa riferimento a San Nicodemo, bensì a San Nicolao, protettore di viandanti e pellegrini.
Nonostante venga meno la premessa, che portava a considerare il Crocifisso del Corvo legato alla leggenda leobiniana, Donati spiega che il nocciolo della questione non viene meno.
Mentre guardo il crocifisso, l’amico Franco Bernardini ripete le vicissitudini del monastero dopo la sua fondazione.
Dieci anni dopo la sua costruzione, precisamente nel 1186, questo fu affidato dal nuovo vescovo di Luni, Pietro, ai monaci pulsanesi di San Michele di Orticaria di Pisa.
Dopo la decadenza del priorato pulsanese, nella metà del secolo XIV, i monaci si trasferirono a Sarzana e nel 1453 vennero uniti alla mensa canonicale di Santa Maria Assunta.
Per tre secoli, e quindi fino alla metà del XVII secolo, il monastero del Corvo restò abbandonato.
In tutto quel tempo, che fine aveva fatto il Volto Santo?
Parrebbe logico sostenere che fosse stato portato a Sarzana. Ma così non è, come possiamo notare dalla visita apostolica fatta dal vescovo nel 1584, il quale sostiene che l’immagine sopra all’altare non è soddisfacente e che ci deve essere messa icona cum crucem.
Mi guardo con i compagni di avventura e pensiamo tutti la stessa cosa: allora dov’era il Volto Santo attualmente esposto nella cappella?
Solo allora ripenso alle parole di Piero Donati.
Lo storico dell’arte fa notare che fino al 1109 a Lucca nella cattedrale di San Martino era venerata la Crux vetus e un’immagine dipinta. Il vescovo di Lucca, Rangerio, che morì nel 1112, non aveva mai accettato di buon occhio l’adorazione della Croce con appeso il corpo di Gesù, in quanto peregrina religium.
Solo dopo la sua morte, probabilmente fra il 1112 e 1119, ci fu la venerazione di un Cristo tunicato tridimensionale. Secondo Donati la primitiva Crux vetus era un crocifisso aniconico, traslato in San Martino dalla distrutta chiesa Domini et Salvatoris. Questa sarebbe stata adorata fino ai primi anni del XI secolo e poi sostituita dal Cristo tridimensionale, Cristo nero, poi divorato dai tarli e quindi messo in disparte per alcuni secoli.
Per Donati questo primo crocifisso tridimensionale sarebbe stato a sua volta sostituito dall’attuale Volto Santo di Lucca, realizzato nel XIII secolo. Il vecchio Volto Santo sarebbe rimasto in un luogo sicuro per quasi tre secoli, per poi riapparire restaurato nel XVII secolo proprio al Corvo.
I canonici di Sarzana, per rilanciare il monastero, fecero arrivare nella cappella il crocifisso tridimensionale lucchese, messo da parte perché, come detto, rovinato dai tarli.
Dalla testimonianza di un pellegrino chiamato Placentinu sappiamo infatti che il volto lucchese non poteva più fare miracoli a causa delle sue cattive condizioni. Addirittura il crocifisso doveva essere ripitturato più volte per nascondere le magagne.
Restaurato per l’ultima volta a Genova nel 1957, secondo Donati quest’ultimo corrisponde in tutto e per tutto al Volto Santo descritto nel XII secolo nel duomo lucchese: oculos cristallinos di pasta vitrea, policromatico, sui piedi entro argenteos subtellares ma soprattutto l’unico ad aver subito l’attacco dei tarli.
Nessun altro ha le caratteristiche descritte qui sopra, se non il Cristo nero che si trova ora a Bocca di Magra.
Altro elemento che fa propendere Donati a pensare che il volto di Bocca di Magra fosse quello originario di Lucca, sono le monete lucchesi, ossia i grossi argentei di Lucca, che hanno impresso il volto del Cristo tunicato. La barba di Gesù riprodotta sulla moneta è identica a quella che troviamo al monastero del Corvo, guardando il crocifisso di profilo.
Qual è allora il Volto Santo più antico? Qual è il prototipo, padre degli altri cristi tunicati? Quello di Lucca o quello che si trova ora a Bocca di Magra?
Mi guardo ancora una volta con i compagni di avventura e pensiamo a quanto questa storia sia intricata ma affascinante.
Lo sguardo mi cade per l’ultima volta sulla magnifica statua, che pare ascoltare in silenzio. Potesse parlare ci toglierebbe ogni dubbio, invece usciamo dalla cappella senza risposta, pensierosi ma con lo sguardo appagato dal magnifico Cristo nero.
All’improvviso una voce mi giunge alle spalle: «E se la soluzione si trovasse in Lunigiana? Se la chiave di tutto fosse il Volto Santo di Dobbiana?»
Ma vediamo a che punto sono le ricerche di Danica, se vi ricordate la ragazza pensava che il sangue di Cristo fosse ancora nascosto nel Volto Santo di Bocca di Magra.

tratto da “L’angelo del male – Il risveglio

“Forse, dopo tutte quelle peripezie l’ampolla col sangue di Cristo era tornata all’interno dell’involucro originario, quello di Bocca di Magra. Gli studiosi invece erano certi che il Preziosissimo sangue della leggenda leobiniana fosse custodito nella cattedrale di Santa Maria Assunta di Sarzana, dove a partire dal 1204, era stata trasferita la sede episcopale di Luni, visto che ormai l’antica città lunense era stata abbandonata, in quanto trasformatasi in una palude malsana.
Danica invece pensava che il sangue non avesse mai lasciato quel monastero.
Si voltò più volte per vedere se arrivasse qualcuno. Quando capì che non sarebbe stata disturbata, tentò l’azzardo.
Scavalcò la piccola cordicella che separava il Cristo Nero dai fedeli, e salì sull’altare posto davanti al crocifisso. Tirò il legno verso di sé per vedere cosa contenesse la nicchia ricavata nel retro della figura di Gesù. Infilò la mano, ma non trovò nulla. Controllò più volte ma, a parte la polvere, niente di niente. Lì non c’era alcuna reliquia, nessun sangue.
Le sue supposizioni erano sbagliate.
Delusa e rammaricata si sedette sopra una panca per riflettere. Fu solo allora che vide un piccolo manifesto affisso alla bacheca posta vicino all’entrata, dove erano elencate tutte le reliquie lunigianesi. Lesse del Volto Santo di Dobbiana, in Lunigiana, e sorrise. Non ne aveva mai sentito parlare e non era citato in nessuno studio, e questo suscitò subito la sua curiosità. Sarebbe stata quella la sua prossima tappa.
Quella terra, che come lei ancora in pochi conoscevano, era veramente uno scrigno ricco di tesori.”

Preziosissimo sangue di Gesù

Anche noi come Danica vogliamo vedere questo Volto Santo, un crocifisso che si trova nella mia Lunigiana e del quale ignoravo l’esistenza.
Prossima tappa… Dobbiana.

Dobbiana

Arrivato sul posto con Apuana Jones, come gli amici di Luni & Apuania hanno ribattezzato Sonia, la mia compagna e collaboratrice, ho lo sguardo smarrito. Dobbiana non è propriamente un borgo, ma un insieme di frazioni che fanno riferimento alla chiesa di San Giovanni Battista, una località che, oltre l’edificio sacro, comprende i paesini di Arnuzzolo, Macerie e Tarasco. Abbiamo raggiunto il luogo in breve tempo grazie alle indicazioni forniteci dagli amici Verrini e Lazzerini.

Esterno della chiesa di S. Giovanni Battista di Dobbiana (MS)

Non mi aspettavo di trovare la chiesa al limitare di un bosco, senza abitazioni vicine e completamente isolata… insomma, un po’ fuori dal mondo. Camminiamo sulle pietre simili alle piagne dei tetti e ci avviciniamo alla chiesa. La prima cosa che noto è una colonna marmorea che si erge in mezzo alla piazza antistante l’ingresso, alla sommità svetta la statua della Madonna. Il mio sguardo poi scivola sulla facciata romanica formata da bozze di arenaria, semplice ma allo stesso tempo maestosa.
Sono ancora perso nei miei pensieri quando sento la voce di Cesare, uno dei responsabili che ha la chiave del portone d’ingresso, che scandisce il mio nome e ci invita ad entrare.
Ci avviciniamo per salutarlo e ringraziarlo della gentilezza. L’amico ci apre il portone e la semplicità della facciata si trasforma in un capolavoro barocco. È così bella che il mio sguardo si perde tra gli stucchi e i marmi policromi.
Sonia inizia a riprendere tutto, anche lei non sta più nella pelle: vuole vedere il misterioso Volto Santo.
Grazie alle informazioni attinte dall’archivio parrocchiale, sappiamo che la chiesa è stata costruita nel 1426, ma siamo certi che già attorno all’anno mille ci fosse un edificio sacro. Infatti le linee strutturali messe in evidenza dagli ultimi lavori di restauro, dimostrano che l’antica chiesa aveva struttura e pianta romanica con tre navate.

Interno chiesa S. Giovanni Battista

L’attuale edificio fu restaurato nel 1698, riducendo l’altezza della navata centrale ed eliminando colonne e pilastri. Fu allora che furono consolidati i muri esterni con i barbacani, dando alla chiesa l’aspetto attuale. Una tradizione popolare narra che la chiesa è stata costruita inclinata per non toccare la nicchia contenente il Volto Santo. Questo ci suggerisce che durante il restauro, il prezioso crocifisso fosse già lì.
Camminiamo nella chiesa sotto lo sguardo sornione di Cesare, ci guarda senza proferir parola, lasciandoci il tempo di ammirarla. Alla mia destra, sopra una piccola ara scorgo il dipinto del Volto Santo, è meraviglioso. Cesare però non si ferma accanto a me, continua a camminare verso l’altare perché vuole mostrarmi un quadro della Madonna posto dietro la mensa sacra, probabilmente l’unico oggetto che, assieme alla fonte battesimale, proviene dall’antico edificio.
Mi dirigo verso di lui e vedo il quadro, rimango stupito per la sua semplicità e armonia: la Madonna col bambino mi guarda da dietro un vetro di protezione, io la sfioro e mi faccio il segno della croce. Continuo la perlustrazione con fare stranito, ormai ho girato l’intero perimetro della chiesa, ma non ho ancora visto il crocifisso ligneo. Proprio in quel momento sento tirare una corda e, come in un gioco di prestigio, il quadro dove campeggiava il dipinto del Volto Santo scende e, davanti ai miei occhi, appare il crocifisso. Talmente bello e magico che non riesco a proferir parola. Sonia per fortuna ha ripreso quella magia durata solo pochi secondi.
Quasi non riesco a crederci. Guardo meglio e mi accorgo che, anche qui, il piede di Gesù è posto sopra un calice d’oro. Dopo l’iniziale stupore, comincio a tempestare di domande l’amico che ci ha accolto. Cesare mi racconta che il crocifisso conserva ancora l’antica funzione di reliquiario. Incastonata nel petto della statua, infatti, è conservata una piccola teca in vetro con all’interno un frammento della Santa Croce. L’amico prosegue dicendomi che, secondo la tradizione popolare che si rifà ancora una volta alla leggenda leobiniana, l’immagine del Volto Santo giunse a Dobbiana da Luni per libera volontà dei famosi buoi non domati. Senza guida umana, i due animali si sarebbero mossi alla volta del paese e solo in esso si sarebbero fermati. Questo indica la chiara influenza lucchese nella tradizione di Dobbiana, anche perché Lucca, nei primi decenni del 1300, aveva già preso possesso, oltre che di Pontremoli, anche di altre comunità lunigianesi, tra le quali Aulla.
Il dominio lucchese, la leggenda dei buoi, il piede di Gesù sul calice, la reliquia all’interno del Volto Santo, sono tutti elementi che collegano Dobbiana a Lucca e, a mio avviso, indicano la possibilità che il primo crocifisso ligneo, quello tarlato e traslato poi a Bocca di Magra, potesse essere stato nascosto in questo luogo sperduto della Lunigiana per oltre tre secoli. Le prove non sono molte, ma è giusto poter avanzare anche questa ipotesi.

Dipinto del Volto Santo – Dobbiana
Il vero Volto Santo, nascosto dietro al dipinto

La statua, ancora oggi oggetto di un’appassionata devozione popolare, è portata in processione due volte l’anno, in concomitanza delle feste legate al culto della Santa Croce: il 3 maggio e il 14 settembre. La processione si snoda verso i campi, ove viene ripetuto il rito delle rogazioni. Del resto il legame della festa con il mondo agricolo ce lo ricorda un antico proverbio che così recita: il pastore, per procedere alla tosatura, deve lasciar passare Santa croce di maggio e non aspettare quella di settembre.

Processione del Volto Santo di Dobbiana

Anche Danica ha raggiunto la piccola chiesa immersa nel bosco, è dentro anche lei assieme a Cesare, vediamo gli sviluppi.

tratto da “L’angelo del male – Il risveglio

Fu allora che Danica finse di accusare un mancamento e chiese a Cesare se le poteva portare un po’ d’acqua fresca. L’uomo partì di corsa lasciando la giovane sola nella chiesa.
Danica fece in un lampo.
Si avvicinò al crocifisso e, senza badare alla piccola teca posta sul petto di Gesù, mise una mano dietro alla croce. Sentì subito qualcosa di freddo, vetroso, un’ampolla.
L’aprì velocemente e vi immerse uno stick, facendolo impregnare di sangue, poi rimise tutto a posto.
Dopo poco rientrò Cesare con una bottiglietta d’acqua.
Ana ne bevve alcuni sorsi poi, dopo gli ultimi convenevoli, salutò il custode.
Aveva compiuto la sua missione, presto avrebbe fatto analizzare il liquido ematico e provato che Gesù non aveva nulla di speciale nel sangue, ma solo nello spirito.

Anche Sonia ed io salutiamo Cesare e facciamo ritorno verso casa. Non dico nulla, sono perso nei miei pensieri. Perché Dobbiana custodisce una reliquia così importante?
Metto da parte il rigore scientifico e faccio affidamento al mio istinto di scrittore. Mi sembra di vedere il Volto santo arrivare a Dobbiana sopra un carro trainato dai buoi. La preziosa reliquia è divorata dai tarli ma, nonostante questo, chi la maneggia sta ben attento a non farla cadere. Questo è l’originale Volto Santo che rimarrà qui nascosto finché non prenderà la strada per Luni, destinazione finale il monastero del Corvo. Con l’avanzata degli infedeli in Europa, in molti temono che la preziosa reliquia possa cadere nelle loro mani. La chiesa nel territorio lunigianese sembra la soluzione più adatta come nascondiglio. La preziosa reliquia resterà qui fino al trasferimento a Bocca di Magra e solo allora a Dobbiana arriverà l’attuale Volto Santo, in ricordo dell’originale.
La macchina procede lentamente, l’ipotesi che mi è balzata alla testa non è suffragata da nessun riscontro documentale, ma questo non mi impedisce di fare elucubrazioni e dare uno spunto per future ricerche.
Giunto a casa decido di chiudere qui il mio pezzo. L’importanza del sangue di Gesù, contenuto nel sacro calice, la rivelerò in un prossimo stralcio.