Un borgo magico

Attraverso il mio lavoro voglio accompagnarvi all’interno di un terra magica, ricca di storia, leggende e con una natura incontaminata, una terra unica e tutta da scoprire.
Vi porto in Lunigiana. Seguitemi non ve ne pentirete. Voglio farvi conoscere la mia terra attraverso articoli, ricerche, interviste, foto, filmati e riportando alcuni stralci dei miei romanzi che vi faranno immergere in un clima di mistero, magia e leggende.
Come primo metà del nostro viaggio ho scelto il borgo di Codiponte.
Prima di addentrarmi nello specifico di questo stralcio, voglio ringraziare due ricercatori locali, Rino Barbieri e il compianto Enrico Calzolari, scomparso all’inizio del 2020. I loro studi sono stati fondamentali per redigere quanto vi apprestate a leggere. Ma non perdiamo altro tempo e raggiungiamo il piccolo borgo situato nel comune di Casola. Lo faremo con una guida particolare, si chiama Danica e sarà una delle protagoniste del mio prossimo romanzo dal titolo L’angelo del Male – il risveglio, che sarà per l’appunto ambientato in Lunigiana. Ve la presento: ventisette anni, frizzante, sfrontata, eccentrica. Porta lunghi capelli biondi, la sua pelle è così chiara che ricorda una perla, gli occhi sono furbi e sfuggenti. Ne sono certo, vi conquisterà. Seguiamola:
Tratto da L’angelo del male – Il risveglio
Danica raggiunse il paese di Codiponte, un borgo ricco di storia, sorto attorno al torrente Aulella. Case in pietra, incollate l’una sull’altra, si arrampicavano lungo il fianco della collina, un tempo dominata dal castello ormai diroccato. Appena giunta nei pressi del borgo, sentì suonare le campane: mezzogiorno in punto. Un suono pulito, metallico, che vibrò nell’aria rompendo il silenzio di quel luogo desolato. La pieve dei Santi Cornelio e Cipriano gli apparve nell’austera purezza, rapendola per le sue linee semplici e per l’armonia che sprigionava dalle forme.
Restò per alcuni minuti ad ammirare la meravigliosa struttura in sasso, poi fu colpita da una lapide in arenaria scritta in latino, campeggiava sulla parete di un’abitazione adiacente alla pieve. Si avvicinò e lesse: Pro veritate facta non verba. Qui fuit ediscat, qui erit erubescat. Per la verità, fatti e non parole. Chi fu impari, chi sarà arrossisca.
Cosa significava? Cercò di decifrare il messaggio, ma non ci riuscì. Era appena arrivata, che già aveva un quesito senza risposta.
Ringrazio Danica, che ritroveremo più tardi, per averci accompagnato in questo borgo magnifico, con una chiesa dalla architettura misteriosa e originale.
Nonostante la semplicità apparente, Codiponte è simile a uno scrigno ricolmo di tesori: statue stele, un castello abbandonato, tracce di culti pagani all’interno della sua pieve e simboli che richiamano alla mente gli immancabili templari. Codiponte fu un importante snodo di collegamento tra il porto di Luni e la città di Lucca. Il fiorente centro di una volta, purtroppo, non esiste più e molte delle case che si inerpicano fino al castello sono oggi disabitate. Anche il vecchio bastione, un tempo dominatore della valle, è ormai un rudere abbandonato. In piedi sono rimaste solo le mura perimetrali, la porta d’accesso al paese e poche vestigia del palazzo medioevale. Secondo l’ipotesi dello studioso Enrico Calzolari, salendo al castello si può vedere un primo simbolo legato ai templari. Incuriositi da questo cenno ai Poveri Cavalieri di Cristo, sono andato alla sua ricerca con la mia compagna Sonia.
Camminare tra le abitazioni percorrendo i numerosi vicoli è stato un piacere per i nostri occhi, un vero e proprio tuffo nel passato. Giunti ai ruderi del castello, non avevamo ancora trovato il simbolo che cercavamo ma, senza arrenderci, abbiamo continuato la nostra ricerca per alcune ore, purtroppo senza risultati. Stavamo tornando alla macchina, delusi per la mancata scoperta, quando giunti nei pressi di un piccolo gruppo di case, sono stato attratto verso i resti di una abitazione posta al centro di una minuscola corte. Non credevo ai miei occhi, di fronte a un piccolo forno in pietra, c’era quello che cercavamo. Sul portale di una casa privata campeggiava il bassorilievo indicato dallo studioso nei suoi testi.
Sotto potete vedere la foto del simbolo: la croce templare con a fianco l’immagine di un castello. Forse un’indicazione su chi fossero i veri padroni della fortezza? Un’ipotesi stimolante da verificare.


In effetti molte delle pietre mancanti dal castello sono state riutilizzate dagli abitanti per costruire le proprie abitazioni. Nel borgo possiamo vedere ancora oggi portali decorati, pietre sagomate e alcune colonne riutilizzate dopo che il castello era stato abbandonato. Non solo, murata in uno stipite di un portale è stata ritrovata anche una statua stele del gruppo B, con fascia clavicolare e un pugnale raffigurato sotto le braccia. Quindi probabile che anche il “nostro” bassorilievo facesse un tempo parte del castello.

Purtroppo, nei decenni dell’ultimo secolo molte case del borgo sono state abbandonate al degrado e all’incuria, conseguenza inevitabile dell’emigrazione per mancanza di lavoro. Questo però ci ha permesso di passeggiare nelle stradine del paese, di sbirciare all’interno degli edifici e farci così un’idea di quali fossero gli arredi di un tempo. Ultimato il sopralluogo del borgo, abbiamo oltrepassato il ponte che collega la parte nuova a quella più antica e raggiunto la pieve.
La pieve di Codiponte
L’austero campanile svettava al fianco della pieve romanica dei Santi Cornelio e Cipriano, vero centro attrattivo di Codiponte.


L’edificio sacro si erge in prossimità di un importante valico, che fin dall’antichità metteva in contatto la costa con l’entroterra. Le prime testimonianze della chiesa risalgono all’anno 793 d.C., grazie a un documento che fa cenno a una chiesa “Trasmontes ad Sanctum Ciprianum”. Nel nostro sopralluogo abbiamo visto quella che era un tempo la fonte battesimale, una sorta di piccola piscina dove si entrava scendendo pochi gradini e il basamento di una colonna. Dall’esterno colpisce la forma compatta, austera, grazie ai conci squadrati di pietra serena e arenaria: armonia spezzata solo da due contrafforti laterali e dalla bifora posta sopra il semplice portale. Pianta basilicale a tre navate con colonne e archi a tutto sesto. Il suo corpo leggermente trapezoidale lascia poca differenza tra lunghezza e larghezza. La forma severa esalta i capitelli figurati, vero e proprio tesoro da proteggere; patrimonio non sempre compreso anche dagli addetti ai lavori, come si può leggere in una relazione fatta nel 1835 da un ingegnere locale.
Tratto da L’angelo del male – Il risveglio
Le colonne portano capitelli tozzi, e con ordinarissimi intagli, che sono assai goffi. Il muro che sostengo e che regge il tetto della navata di mezzo è formato in pietra da taglio, e esso e le colonne sono stati imbiancati”
Per fortuna tale bellezza non ha subito l’intervento demolitore della Controriforma ecclesiastica. Ma fu solo negli anni ’50 del secolo scorso che fu riabilitata la decorazione scultorea che possiamo ammirare all’interno dell’edificio sacro.
Ma lasciamoci ancora una volta guidare da Danica.
“Sempre più incuriosita, Danica decise di entrare nella pieve. Spinse la pesante anta che si aprì con un sospiro. Avanzò lentamente. I passi rimbombarono tra le navate, dove l’oscurità pareva aver vinto la quotidiana battaglia contro candele e ceri. Osservò subito gli strani capitelli che le erano stati indicati e restò stupita: non aveva mai visto disegni simili in edifici cristiani. Era ancora concentrata su quelle raffigurazioni, quando dal buio presero forma parole che vibrarono con una potente energia.
«Le sembrerà strano vedere questi segni in una chiesa» affermò l’uomo, rimasto avvolto nella penombra di una colonna «ma sotto questi simboli bestiali e deformi si cela un angolo di paradiso. Non dobbiamo mai ripudiare alcuna figura, nessun essere è da scartare di per sé. Non esiste qualcosa di negativo in assoluto, tutto dipende dalle azioni compiute. Guardi quella sirena che mostra sfacciatamente il sesso. Molti fedeli si scandalizzano nel vederla, abbassano lo sguardo o si fanno il segno della croce. Questi ipocriti non rammentano che Adamo ed Eva erano nudi nell’Eden, così come lo era ogni essere umano in pace con Dio. Non dobbiamo scandalizzarci per le apparenze o i simboli, ma solo per le azioni malvagie.» «Scusi, ma lei chi è?»
I magnifici capitelli
Lasciamo ora Danica con il suo misterioso interlocutore e concentriamoci sugli elementi distintivi della pieve. I capitelli sono di tipo cubico scantonato, con cordolo a torciglione quale raccordo al cilindro del sostegno cosiddetto lombardo. Tipologia già presente nel IX secolo, ma più diffusa a partire dall’XI. Si adattano per diametro e altezza alle colonne, alle quali sono cuciti addosso quasi fossero un vestito. Non si tratta quindi di pezzi predisposti da maestranze specializzate, ma opere realizzate direttamente sul cantiere da veri e propri “sarti” della pietra. Ogni faccia cubica è divisa in due parti: quella superiore riporta motivi geometrici, quella inferiore figure umane o di animali. Sono queste la vera attrazione della pieve. Non capolavori di estetica, ma bassorilievi che, con la loro forma sobria, rapiscono la mente di chi li osserva. Simboli con significati arcaici che giungono dal profondo passato di questa terra indomita. Simboli oscuri che lasciano trapelare quanto i riti pagani fossero ancora vivi in quest’area costretta a piegarsi all’avanzare del cristianesimo. Nella pieve la spiritualità prende forma in immagini che ci lasciano stupiti. Sono assenti figure evangeliche o bibliche, sostituite da bestiari medioevali. Degni di nota sono l’albero della vita, le linee circolari, i fiori a sei petali, ma soprattutto le iconografie animalesche e triviali. Queste immagini inusuali hanno stimolato la curiosità di molti studiosi che hanno elaborato teorie di confine. Pare quasi che i capitelli rappresentino uno scontro di immagini tra il bene e il male. Sono forse rappresentazioni che vogliono mettere sull’attenti il visitatore inconsapevole, il fedele tiepido, o cos’altro?
Appena entrati nella chiesa i nostri sguardi sono attratti come una calamita dalla sirena bicaudata che sfoggia sfrontatamente il proprio sesso. Un essere per metà donna e metà pesce che stringe in mano l’estremità delle gambe, trasformate in coda ittica.

Per alcuni cristiani questa immagine rappresenta i peccati della carne, la lussuria, mentre per la maggior parte degli studiosi simboleggia il passaggio dal paganesimo alla religione cristiana. La sirena rappresenterebbe la Dea madre, figura simbolo di fertilità, come evidenzia anche l’immagine della vulva. Alcuni studiosi di frontiera, tra i quali il già citato Calzolari, legano invece questo simbolo ai cavalieri templari che ancora una volta aleggiano in questo luogo remoto della Lunigiana. Può anche essere solo una coincidenza, ma in alcuni edifici legati ai Poveri Cavalieri di Cristo sono state ritrovate molte di queste raffigurazioni. Raggiunta la Terra Santa, forse i templari erano entrati in contatto con una simbologia millenaria, segreta, e decisero di adottarla come segno di riconoscimento in Europa, quasi fosse un linguaggio cifrato per i membri dell’ordine. Forse anche il bassorilievo citato all’inizio dell’articolo era un segno per indicare che quel borgo era un luogo sicuro per tutti i templari. Chissà?
Poco distante dalla sirena, vediamo un altro capitello bizzarro. Si tratta di una figura maschile, un uomo itifallico che mostra un grande fallo eretto, probabilmente anch’esso legato alla simbologia della fertilità.

Una vera sorpresa per i fedeli non trovare sopra queste colonne rappresentazioni evangeliche, ma solo simboli che riportano a una religione primordiale. Interessanti sono anche le figure zoomorfe. In alcuni capitelli possiamo distinguere un cammello e dei semplici felini, forse leoni, ma sono altre due le rappresentazioni che lasciano perplessi: coda lunga, gambe posteriori più lunghe di quelle anteriori e posizione semi-eretta.


Sempre Calzolari, nel suo libro Lunigiana e rotta atlantica dei templari, si è chiesto se queste figure potessero essere canguri, vista la rappresentazione di questo animale in due siti egizi (in realtà anche il riferimento alle scoperte in Egitto mi hanno sempre convinto poco). Lo scultore voleva forse trasmettere informazioni segrete? E se così fosse, a chi erano destinate? Ai templari?
Questi segni sulla pietra sono così affascinanti che una volta entrati all’interno del luogo sacro siamo rimasti ad ammirarli in silenzio per lungo tempo. Rappresentazioni enigmatiche che hanno solleticano la nostra fantasia, lasciandoci stupiti. Ma se non ci fosse alcun segreto? Se il messaggio fosse stato rivolto solo ai fedeli non ancora del tutto cristianizzati?
L’ipotesi di Rino Barbieri
Così la pensa un altro studioso locale, Rino Barbieri. Nei suoi studi, il ricercatore accomuna tre pievi che si trovano in questa parte della Lunigiana: Pieve di Codiponte, Pieve di San Paolo a Vendaso e la chiesa di Santa Maria Assunta a Pognana. Se non è un linguaggio cifrato e segreto, qual è allora il messaggio di queste chiese? Per trovarlo, sostiene Barbieri nel suo studio, bisogna calarsi nella realtà del tempo in cui è stata costruita la pieve di Codiponte, un periodo critico dove il cristianesimo voleva affermarsi e soppiantare del tutto i culti pagani. Una chiesa povera, minimalista, senza arazzi, quadri o statue che rappresentassero simboli cattolici, un luogo che poteva solleticare l’attenzione della popolazione agreste e analfabeta con la sola pietra scolpita. Questo è stato fatto rappresentando sui capitelli simboli legati al paganesimo, senza raffigurare Madonne, croci o Santi.
Ma continuiamo ad analizzare i simboli dei capitelli. Per farlo voglio citare ancora una volta lo studio di Barbieri, che mi trova d’accordo su molti punti. Primo elemento da sfatare è quello riguardante il fiore a sei petali. Questo non è un segno apotropaico, utile per allontanare gli influssi maligni, ma è un fiore della vita, che indica la rinascita. Barbieri nel suo studio precisa che questo non rappresenta una margherita, ma un narciso. Sei petali contornano la corona gialla, che al suo interno racchiude tre pistilli, probabilmente un modo per indicare la trinità senza scomodare elementi biblici. Il narciso, di fatti, spunta solo in primavera e preannuncia l’arrivo della bella stagione, forse è stato utilizzato solo per indicare un senso di felicità, speranza e rinascita.

Altro elemento importante che troviamo nei capitelli sono la rappresentazione di circoli concentrici, che in molti erroneamente confondono col simbolo del sole (di solito rappresentato con un singolo cerchio, alle volte con un punto al suo centro). In realtà, indica sempre Barbieri, questi rappresentano l’acqua, prima fonte di vita. Lo studioso spiega in modo chiaro ed esaustivo che “i cerchi concentrici non sono altro che la raffigurazione dei circoli che si formano sull’acqua quando un corpo ne tocca la superficie”.

Interessante anche il parere sui capitelli dove sono rappresentate delle figure con le braccia alzate. Queste non sarebbero oranti (persone che pregano) ma la posizione delle braccia e del busto rappresentano l’albero della vita, il tronco e i suoi rami. Altra intuizione importante fatta da Barbieri riguarda l’abaco che molti studiosi hanno definito intreccio vimineo. Anche a mio avviso questo non simboleggia un intreccio di vimini usato per creare panieri, bensì l’acqua corrente. Ancora una volta quindi un simbolo che genera vita.

Molti dei capitelli presi in considerazione, riportano sugli angoli la figura di un archetto a ferro di cavallo che ne contiene altri. Anche questo è un simbolo rigeneratore: indica che da una vita ne nasce un’altra e così via di seguito.
Templari a Codiponte?
Il portale esterno alla chiesa
Ricordandoci le parole degli illustri ricercatori che ci hanno guidato fin qui, usciamo dalla pieve per esaminare l’elemento che ha introdotto il tema templare all’interno della chiesa: il portale laterale, forse anticamente il portale principale.

Qui sono rappresentati due volti con uno strano copricapo sullo stipite di sinistra e tre figure affiancate su quello di destra.
Per Calzolari i primi rappresentano due individui del Mesoamerica, due volti con un copricapo cacique; sullo stipite di destra invece sarebbero rappresentati volti con cappello di pelliccia collegabile ai climi freddi. Questo confermerebbe che in Lunigiana, prima della scoperta dell’America, si conosceva già la rotta verso quel continente.
Per Barbieri invece i tre ovali sulla destra rappresentano le fasi della vita: prima della nascita, il nascituro e l’uomo adulto. Un bassorilievo che vuol far riflettere sulla caducità della vita e del tempo che passa. Sullo stipite di sinistra invece i due volti, per Barbieri, rappresenterebbero i due santi alla quale la pieve è dedicata. I volti sono rappresentati sotto due archi appoggiati a una colonna e non indossano alcun copricapo del Mesoamerica, ma sono colpiti da tre raggi solari, quelli che di solito coronano il capo dei santi.


Rientrati in chiesa, esaminiamo la vasca battesimale del XII secolo sulla quale campeggia una croce che, ancora una volta, per Calzolari potrebbe far riferimento ai templari.

Questa si trova al centro dell’Uroboro, un serpente che si morde la coda. Anche questo simbolo rappresenta la vita, la natura ciclica di tutte le cose. Inoltre il serpente, a ogni stagione, muta la pelle e può essere interpretato come segno di rinascita. Per Barbieri non può essere una croce templare perché in alto sembra esserci scolpito un volto umano. Sonia ed io esaminiamo bene questa croce e concludiamo che, per noi, è solo un pezzo di pietra che si è staccato dalla fonte battesimale, nessun volto. Alla base della vasca, invece, si vede un animale che potrebbe essere un ariete e dei pargoli fasciati con le mani in alto. La fasciatura con lunghe pezze di lino era un’antica tradizione per far crescere i bambini più sani e forti. Potrebbe questo essere un riferimento al sacrificio di Isacco? Difficile da dire, ma visto che nella chiesa non è presente alcun riferimento biblico, crediamo che sia un’ipotesi da scartare.
Intanto Danica ha finito di parlare con il misterioso uomo, allora torniamo da lei:
Tratto da L’angelo del male – Il risveglio
A causa di un capogiro, la ragazza aveva chiuso gli occhi. Quando li riaprì, quello strano individuo era sparito nel nulla. Volatilizzato. Lo chiamò a lungo, senza però ottenere risposta. Ancora sconcertata, provò a riflettere su quanto le aveva detto. Era convinta che il sole avrebbe illuminato un luogo particolare della chiesa. Fece più volte la spola tra l’interno e l’esterno della pieve. Correva senza sosta. Aveva poco tempo, e temeva di non riuscire a decifrare tutti i simboli nell’edificio sacro, erano troppi. I raggi del sole che filtravano all’interno della chiesa non illuminavano niente di particolare. Presto la notte avrebbe cancellato la sua speranza di svelare quel segreto. Sarebbe ritornata all’ostello a mani vuote. Esausta per l’estenuante ricerca, decise di riprendere fiato. Si sedette con la schiena appoggiata alla facciata della chiesa e lo sguardo rivolto al sole, che stendeva il suo manto sopra le colline. Fu allora che vide un fenomeno strano. La lapide con la scritta in latino che aveva visto appena arrivata, rimasta all’ombra per l’intera giornata, adesso risplendeva illuminata dagli ultimi raggi. Solo allora capì…”
Lasciamo di nuovo la ragazza alle sue elucubrazioni e concentriamoci ancora una volta sulla chiesa.
Per Calzolari, la pieve di Codiponte è una chiesa ricca di simboli e codici arcani. Per Barbieri, invece, non contiene alcun segreto: il motivo pregnante dei simboli non sarebbe altro che un inno alla vita, alla nascita e alla rigenerazione. Quest’ultima spiegazione ci trova d’accordo. La popolazione di queste valli probabilmente non era pronta a capire scene evangeliche e bibliche, perché ancora troppo legata al mondo della natura e del femminino sacro. Per questo nella pieve troviamo simboli legati al culto della Dea Madre e non alla Madonna, che però, ben presto, l’avrebbe sostituita. La presenza nel cristianesimo del culto di Maria fu un grande aiuto alla conversione dei contadini e delle persone meno istruite. Questa popolazione avrebbe ritrovato nella Madonna il femminino sacro, un prezioso legame con la religione atavica. Presto i fedeli, che avevano venerato per secoli la natura e la montagna sacra, avrebbero adorato Maria e suo figlio Gesù.
Codiponte è quindi una chiesa importante per mostrare come avvenne il passaggio dal paganesimo al cristianesimo, attraverso i simboli di fertilità, maternità e femminilità. La pieve di Codiponte non è altro che un inno alla vita, uno strumento per l’indottrinamento di quella gente semplice che presto avrebbe incontrato Cristo.
Prima di salutarvi non posso però esimermi dal parlare di un altro elemento che ha attirato la nostra attenzione prima di uscire dalla pieve: il trittico del XV secolo attribuito ad Angelo Puccinelli. Al centro è rappresentata la Madonna col bambino, a destra i Santi Cornelio e Cipriano, martiri del III secolo, e a sinistra il Volto Santo, un crocifisso ligneo acheropita, cioè non fatto dall’uomo, ma creato da mani divine. Giunta miracolosamente al porto di Luni, la reliquia è transitata da Codiponte prima di raggiungere la sua destinazione finale, Lucca.

Restiamo assorti ad ammirare l’opera d’arte, e proprio quando tutti i misteri sembrano ormai risolti, vediamo che nella parte sinistra del trittico, proprio vicino al piede destro di Gesù, è posta una coppa dorata, un calice risplendente.
Forse un riferimento al Graal? Perché mettere una coppa ai piedi del Volto Santo? Cosa rappresenta? E, ancora una volta, l’ombra dei templari solletica la nostra mente.
Forse anche Danica ha scoperto qualcosa d’incredibile, ma per saperlo dovrete attendere l’uscita del romanzo.