Prologo

Un tuono.
Un lungo boato squarciò il silenzio di quel posto lugubre avvolto da un mantello d’angoscia.
Freddo. Neve. Vento.
Freddo pungente come spilli sul volto. Neve densa simile a lacrime ghiacciate. Vento irritante come un rasoio passato a secco.

Parco dei Mostri - Wikipedia

Notte priva di luna, oscurità profonda, tenebrosa, senza alcun punto di riferimento.
L’uomo scappava col fiato corto e la gola secca, circondato dal buio spettrale.
Il temporale improvviso sembrava essersi alleato con l’assassino, facendo saltare la corrente.
Gambe traballanti, respiro pesante, occhi arrossati.
Sentiva dietro di sé la presenza di quello spettro apparso dal nulla, come fosse stato generato direttamente dalla bruma.
Il silenzio irreale spaventava ancor di più il fuggiasco, che aveva visto morire sotto i propri occhi i suoi compagni d’avventura, uno a uno, senza pietà.
Voleva allontanarsi il prima possibile dal luogo di quella truce mattanza. Mulinava le gambe con vigore, saltellava come un cerbiatto in fuga, poi il manto candido gli giocò un brutto scherzo: una buca celata dalla neve e quella storta maledetta.
Stramazzò a terra, il volto sprofondato nella neve. Provò a rialzarsi, fece un passo ma la gamba cedette sotto il peso del corpo. Urlò di dolore. Guardò in basso e vide che l’osso aveva lacerato la carne.
La fine.
Non sarebbe più riuscito a scappare da quell’orco di cui aveva letto solo nelle favole.
All’improvviso uno spiraglio di luce filtrò dai nembi e illuminò il cartello d’entrata: “Parco dei Mostri.” Sorrise amaramente tra smorfie di dolore, mai nome era stato più appropriato.
La speranza riaffiorò nel suo sguardo: era vicino al parcheggio e aveva con sé le chiavi della macchina.
Trascinava la gamba, ormai solo un’inutile appendice. Se avesse potuto l’avrebbe strappata e lasciata in pasto a quel cacciatore spietato.
Mancavano solo pochi metri all’uscita, forse ce l’avrebbe fatta.
Si voltò indietro e vide la traccia lasciata sulla neve dalla ferita. Gocce vermiglie punteggiavano il solco creato dall’arto spezzato.
Oltrepassò il varco aperto poco tempo prima per entrare in quel luogo maledetto e raggiunse il piazzale. Un alito di luce smorta illuminò la sagoma della Fiat Punto noleggiata quella mattina stessa. L’uomo mise una mano in tasca per prendere le chiavi, ma il portachiavi a forma d’ancora si era impigliato alla fodera.
Un secondo, dieci, venti.
Tirò con forza strappando la tasca che uscì dal pantalone.
Sapeva che le pile del telecomando erano scariche, avrebbe dovuto aprire la portiera manualmente.
Tremante, con le mani ghiacciate e la vista appannata, non riusciva a infilare le chiavi nella serratura.
Provò a rilassarsi, inspirando lentamente per regolarizzare il battito cardiaco, poi sentì un rumore alle spalle e si voltò col terrore negli occhi.
Ma era solo il vento che sbatteva con violenza i cartelloni pubblicitari.
Dopo vari tentativi, la chiave entrò di colpo nella serratura.
L’uomo aprì la portiera e s’infilò nell’abitacolo.
Non riusciva più a sentirsi le mani.
Infilò la chiave nel quadro e accese i fanali.
Un fascio di luce rimbalzò sul terreno imbiancato. Provò a mettere in moto ma, per il freddo, il motore non voleva saperne di partire. Singhiozzò per istanti interminabili, poi il rombo invase il piazzale. Stava finalmente per lasciare quel posto maledetto, quando vide una sagoma dall’altra parte del finestrino.
Un tuffo al cuore.
Prese la pistola che aveva nella fondina e sparò direttamente sul vetro. Questo si frantumò in mille pezzi e le schegge gli si piantarono nel volto colorandolo di magenta. Il boato dell’esplosione gli rimbombò nelle orecchie, frastornandolo. La nube della polvere da sparo si dileguò in un istante e vide ancora quella sagoma ritta al suo fianco.
Spalancò gli occhi incredulo e sospirò sollevato: non era l’unico superstite.
«Dai, cazzo! Non perdere tempo, entra e mettiamoci in salvo.» Ivan si girò di lato per aprire la portiera del passeggero.
Fu solo un attimo, un istante.
Il bagliore di una lama.
Si strinse le mani attorno al collo e sentì uno strano calore attraversagli le dita, poi una macchia scura gli inzaccherò i vestiti. Non ebbe neanche il tempo di girarsi di nuovo verso l’assassino che cadde con la testa sul volante azionando il clacson con la fronte. Quel rumore ficcante e continuo ruppe il silenzio della notte, simile alla sirena che preannuncia l’entrata in porto di una nave.
Un cargo di morte.

Accoltella un uomo per difendere il nipote spacciatore. Carcere ...
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