Il mistero della sfinge

Fonte inesauribile di mistero, ipnotica, quasi magica. Ritenuta un tempo divinità immortale, oggi emana un fascino che attira in Egitto migliaia di persone ogni anno. Imponente, immobile, austera… ma soprattutto unica. Migliaia di anni fa ha rischiato di sparire dalla nostra vista e non per una magia, bensì per il forte vento che imperversa impetuoso sulla Piana di Giza. Le tempeste l’avevano ricoperta di sabbia fin quasi sopra la testa. Solo il buon cuore di alcuni faraoni ha permesso che fosse dissotterrata più volte nel tempo.

Posizionata di fronte al sole che sorge, la sfinge è situata a circa 10 km a ovest del Cairo, sulla riva occidentale del Nilo. Molti faraoni adorarono questo monumento come una rappresentazione del dio sole, definendolo Hor-em-Akhet. La sfinge si trova in una parte dell’antica necropoli di Menfi, sede del potere dei faraoni, a breve distanza dalle tre grandi piramidi.

Misure della sfinge

La sfinge è considerata la più grande statua al mondo scolpita in un unico sperone di roccia.

Lunga: 73,15 metri – Apertura di spalle: 11,58 metri – Alta: 20,12 metri

Testa di uomo e corpo leonino, la sfinge è una chimera proprio in tutti i sensi. Il suo sguardo scruta perennemente l’orizzonte verso est, lungo il trentesimo parallelo. La caratteristica che colpisce di più è l’erosione della sua superficie, solcata da fenditure e altri segni molto evidenti.

Curiosità – Il naso della sfinge

Sapete perché il naso della sfinge è stato sfregiato? Scrive El-Makrizi nel XIV secolo: Un uomo chiamato Saim-ed-Dahr voleva porre rimedio ad alcuni errori in materia di religione, si recò alle piramidi e deturpò il volto della sfinge. I folli erano già presenti a quel tempo.

La statua ha un aspetto antico, un gigantesco mostro fiero e consumato. Accovacciata sulla roccia è alta quanto un edificio a sei piani e lunga quanto l’isolato di una città. Anche le zampe, attualmente protette da un moderno rivestimento in mattoni, sono molto sciupate. Il collo è stato maldestramente puntellato con un collare di cemento allo scopo di mantenere nella posizione originaria la testa. Indossa l’elegante copricapo dei faraoni, il nemes, che avvolge con grazia il volto ammaccato dal tempo. Nonostante i segni dei secoli, però il suo sguardo resta saldo, imperturbabile, ravvivato all’alba dai giochi di luce e ombra di nuvole evanescenti. Da quanto tempo è qui a scrutare l’orizzonte? Chi rappresenta il suo volto? Qual è la sua funzione?

Curiosità – Etimologia di sfinge

Mostro della mitologia delle antiche civiltà del Mediterraneo, la sfinge è un essere ibrido con il corpo leonino e la testa umana. Nel famoso mito greco aveva volto femminile, petto e zampe e coda di leone, ali di uccello. Posta sopra una rupe che dominava la strada per Tebe, proponeva a tutti i passanti un difficile enigma che, secondo la tradizione, soltanto Edipo seppe risolvere.  L’etimologia del termine è incerta; un suggerimento valido sembra darcelo Esiodo, che fa derivare il vocabolo dal copto: “fik” (demone) preceduto dall’egizio “ob” (scienza), con il significato di “scienza dei demoni”.

La teoria convenzionale

Secondo gli egittologi, la sfinge di Giza fu realizzata durante l’Antico Regno per ordine del faraone della IV dinastia chiamato Khafre, noto ai Greci come Chefren, il quale regnò dal 2558 al 2532 a.C. Questa è la concezione storica ortodossa, in pratica, il volto della sfinge è il volto del faraone. A mio avviso questo non si può affermare con certezza, visto che il corpo del faraone non è mai stato ritrovato. Quindi gli egittologi si basano solamente sulle statue che rappresentano questo faraone. La più nota di queste, capolavoro assoluto, è stata ricavata da un unico blocco di diorite nera e attualmente si trova in una delle sale al pian terreno del Museo dei Cairo.

A voi sembra lo stesso volto della sfinge? A me no…

Ora voglio citarvi uno studioso che non la pensa come me, il professor Mark Lehner. Anni fa l’egittologo ha fatto uso di dati fotogrammetrici e di grafica computerizzata per dimostrare che il volto della sfinge era quello di Khafre. Ecco le parole dello studioso:

Zahi Hawass, direttore e sovrintendente di Giza, mi invitò a partecipare agli scavi [attorno alla sfinge] nel 1978. Nei quattro anni successivi ideai un progetto per disegnare dettagliatamente la sfinge per la prima volta. Realizzammo una veduta frontale e quelle laterali con la fotogrammetria, una tecnica che utilizza la fotografia stereoscopica […] Le registrazioni successive sono state effettuate al computer. Le mappe furono digitalizzate per rappresentate un modello reticolare tridimensionale; furono calcolati circa 2,6 milioni di punti di superficie per mettere la “pelle” sulla struttura scheletrica. Abbiamo costruito immagini della sfinge come poteva apparire migliaia di anni fa. Per creare il volto, ho cercato di sovrapporre vedute di altre sfingi e di altri faraoni al nostro modello. Con il volto di Khafre la sfinge diventava viva […]

Sembrerebbe tutto tecnicamente corretto e convincente. Dietro il linguaggio specialistico, tuttavia, la verità e decisamente meno altisonante. Per ricostruire il volto della sfinge, Lehner si è limitato ad approntare uno scheletro di linee computerizzate tridimensionali a cui poi ha sovrapposto il volto di Khafre. In realtà lo studioso ha rimodellato il volto della sfinge a suo piacimento. Quei lineamenti, in altre parole, non hanno probabilità di somigliare a Khafre più di quanto ne abbiano quelle di altri faraoni, come ad esempio Thutmose IV che rimaneggiò il monumento verso il 1400 a.C. Inoltre, lo studio di Lehner ha rinunciato a una prova che necessita di maggior approfondimento: la testa della sfinge è sproporzionata al resto del corpo. Lo studioso giustifica il fatto sostenendo che forse gli egizi della IV dinastia non avevano ancora elaborato le proporzioni canoniche tra la testa e il corpo da leone. Non considera la possibilità che la testa un tempo fosse più grande, forse addirittura leonina, e che sia stata ridimensionata dalle varie opere di riscultura. Per essere un professionista, la cosa mi lascia basito.

Curiosità

Nella sua analisi Lehner indica anche una discrepanza tra l’asse della testa della sfinge e quello dei lineamenti del volto. La testa è infatti orientata perfettamente verso Est, mentre i lineamenti tendono a Nord-Est. E questo probabilmente dipende proprio dal fatto che gli scultori hanno dovuto lavorare su un volto già scolpito in precedenza.

Nel 1993, un gruppo di ricercatori indipendenti incaricò Frank Domingo, un detective, disegnatore forense che realizza identikit di persone sospette da più di vent’anni. Essendo un uomo che conosce i volti e vi lavora tutti i giorni, gli fu chiesto di compiere uno studio dettagliato delle somiglianze e delle differenze tra la sfinge e la statua Khafre. Questo fu il rapporto di Domingo:

Dopo aver passato in rassegna svariati disegni, schizzi e misure, la mia conclusione è questa: le due opere rappresentano due individui diversi. Le proporzioni della veduta frontale, soprattutto gli angoli e la sporgenza facciale delle vedute laterali, mi hanno convinto che la sfinge non rappresenta Khafre.”

La stele del Sogno

La Stele del Sogno, conosciuta anche come Stele della Sfinge, fu innalzata nel 1401 a.C. durante il primo anno di regno di Thutmose IV. Come fu poi consuetudine per i faraoni del Nuovo Regno, anch’essa fa riferimento a una legittimazione divina del potere faraonico. Ha una forma verticale, alta 114 cm e larga 40 cm, con 70 cm di profondità.

La scena superiore nella lunetta mostra il faraone mentre porta offerte al dio. La stele si trova fra le zampe posteriori della sfinge e racconta il sogno fatto dal faraone durante il suo soggiorno a Giza. Ecco il testo:

“Uno giorno il principe Thutmose venne a passeggiare sull’ora di mezzodì. Si ristorò all’ombra della sfinge e il sonno si impadronì di lui nel momento in cui il sole era al suo culmine. Troviamo che la maestà di questo dio parlava con la sua stessa bocca, come un padre parla al proprio figlio, dicendo: «Guardami, volgi gli occhi su di me, o figlio mio Thutmose! Io sono tuo padre Harmakhi-Khepri-Atum. Io ti concedo la mia regalità sulla terra, a capo dei viventi. Tu porterai alta la corona bianca sul trono di Geb, il dio principe ereditario; a te apparirà il paese quanto è lungo e quanto è largo, e tutto ciò che illumina l’occhio del Signore Universale. Riceverai gli alimenti delle Due Terre, un abbondante tributo di tutte le contrade straniere e una durata di vita di un grande numero d’anni. A te è il mio volto, a te il mio cuore, tu sei mio. Vedi lo stato in cui sono e come il mio corpo è dolorante, io che sono il signore dell’altopiano di Giza! Avanza sopra di me la sabbia del deserto, quella su cui io sono: realizza ciò che è nel mio cuore, perché io so che tu sei mio figlio, il mio protettore. Avvicinati, ecco io sono con te, io sono la tua guida.» Appena ebbe finito queste parole, il principe si svegliò perché aveva udito questo (aveva sognato il discorso) […] Riconobbe che erano le parole di questo dio e tenne il silenzio nel suo cuore.”

Questo testo è molto interessante in quanto riguarda il tema della scelta del sovrano, manifestata a un principe da parte della divinità. Si tratta di un testo con finalità prettamente propagandistiche. Thutmose IV riceve così la regalità da parte del dio, in quanto si assume il compito di liberare la sfinge dalle sabbie del deserto. Inoltre è da notare che il dio a manifestare la volontà di scelta non è il dio tebano Amon, ma il dio Harakhte, identificato qui in Harmakhi-Khepri-Atum, divinità adorata a Menfi. Questo fatto sottolinea il desiderio di Thutmose IV di appoggiarsi ad un’altra divinità, essendo sentito come opprimente il potere del clero sacerdotale di Amon. Appena divenuto faraone, Thutmose si premurò di adempiere alla promessa che aveva fatto in sogno e di riportare tutto sulla stele. A motivo del contenuto, la stele scoperta da Caviglia, che peraltro non era l’originale, ma una copia risalente all’età saitica, è diventata nota con il nome di Stele del Sogno. Il tentativo di Caviglia di restituire la sfinge alla luce del sole ebbe però un esito effimero perché i venti del deserto ben presto la ricoprirono di nuovo di sabbia e così fu durante tutto il XVIII secolo e la prima metà del XIX secolo. Fu solo grazie all’opera di Selim Hassan (i lavori durarono dal 1936 al 1946), che si riuscì nell’impresa, dopo più di un secolo dai primi tentativi. Da allora la sfinge non è più stata sepolta dalle sabbie e fa bella mostra vicino alle piramidi.

Perché gli egittologi continuano a collegare la sfinge a Khafre?

Uno dei motivi principali è costituito da una sola lettera incisa proprio sulla Stele del Sogno. Quando la stele fu trovata dall’avventuriero genovese Caviglia, nel 1817, la riga tredici era già molto danneggiata. Sappiamo della sua esistenza perché, poco tempo dopo gli scavi, il filologo inglese Thomas Young, uno dei principali esperti nella decifrazione dei geroglifici, riuscì a riprodurre un fac-simile dell’iscrizione. La sua traduzione della riga tredici è la seguente:

“[…] che portiamo per lui: buoi […] e ogni genere di primizia; e innalzeremo lodi a Wenofer […] Khaf […] la statua innalzata per Atum – Hor – Em – Akhet […]”

Presumendo che Khaf fosse il nome di Khafre, Young aggiunse la sillaba re tra parentesi quadre per indicare che era stata colmata una lacuna. Nel 1905, però, quando l’egittologo americano James Henry Breasted studiò il fac-simile di Young, concluse che era stato fatto un errore: “Si è ritenuto che la citazione del re Khafre indicasse che la sfinge era opera di questo re, una conclusione che non è così evidente; [nel fac-simile di] Young non c’è traccia di cartigli […]” In tutte le iscrizioni dell’Antico Egitto, dall’inizio alla fine della civiltà faraonica, i nomi dei re erano sempre scritti all’interno di segni ovali, denominati appunto cartigli. Perciò è molto difficile capire perché, sulla stele tra le zampe della sfinge, sia stato scritto il nome di un re potente come Khafre senza il cartiglio necessario.

Curiosità – La barba posticcia dei faraoni

Tutti noi abbiamo sempre visto l’immagine austera del faraone con la barba dritta e lunga, emblema del suo potere. A partire dal Nuovo Regno di fatti questa fu esclusivo retaggio del re. Durante la XVIII dinastia, per salire al trono la stessa Hatsheptust, nonostante fosse una donna, si fece rappresentare sui monumenti con la barba posticcia legata dietro alla nuca. Il faraone attraverso questo accessorio imitava il dio Osiride, la cui barba però era ricurva sulla punta. La barba rappresentava il suo potere divino, mentre quella dei sovrani rappresentava il potere regale sulla Terra. Durante il Medio Regno anche alcuni funzionari più importanti dell’amministrazione egizia potevano portare questo tipo di barba, che però era molto più corta di quella del sovrano. Durante il Nuovo regno, il suo utilizzo ha avuto più che altro un valore cerimoniale, infatti la barba era portata dal faraone come segno distintivo soprattutto durante i rituali. Quello che per molti individui non era possibile in vita, però lo era al momento della morte. Infatti, la barba “osiriaca”, durante le epoche più tarde, la ritroviamo rappresentata sopra molti sarcofagi di individui maschili di ceto elevato, probabilmente un segno per avvicinare il defunto al dio Osiride.

Altra curiosità – Il mito greco della sfinge

La leggenda narra che la sfinge custodisse l’ingresso alla città greca di Tebe, e che ponesse un enigma ai viaggiatori per consentire loro il passaggio. La leggenda riporta che Hera aveva inviato la sfinge dalla sua terra d’origine, l’Etiopia, alla città greca di Tebe. Essa poneva a tutti i passanti il più famoso enigma della storia: “Quale creatura al mattino va su quattro gambe, a mezzogiorno su due, e la sera su tre, e più gambe che ha, più debole è? “. La sfinge avrebbe strangolato e divorato chiunque non fosse stato in grado di rispondere. Edipo risolse l’enigma rispondendo: “L’uomo che striscia a quattro zampe da bambino, poi cammina su due piedi da adulto e poi cammina con un bastone in età avanzata”.

Non è possibile che Khafre abbia solo restaurato la sfinge?

Questa deduzione logica era sostenuta da molti egittologi alla fine del XIX secolo. Riporto una considerazione fatta da Gaston Maspero, direttore del Dipartimento di Antichità del Museo del Cairo, noto filologo di quel tempo:

La stele della sfinge riporta, sulla riga 13, il [nome] di Khafre in mezzo a uno spazio bianco […] A mio avviso, è un’indicazione di [restauro e pulizia] della sfinge realizzata per ordine di questo principe, e di conseguenza la prova più o meno certa che la sfinge fosse già coperta di sabbia all’epoca dei suo predecessori.”

La stele dell’inventario e il restauro della sfinge da parte di Cheope

Questa stele ha la forma di una finestra devozionale in cui vengono elencate 22 divinità, che verosimilmente erano presenti nel tempio.

Fu ritrovata nel 1858 da Auguste Mariette nei pressi della sfinge, e riporta una lista di oggetti sacri che appartenevano al tempio di Iside. La lapide risale, conformemente ad un’analisi di stile e compilazione dei geroglifici, alla XXVI dinastia. Ma il testo, pur se compilato in epoca tarda, si riferisce a eventi molto più remoti che avrebbero avuto luogo durante il governo di Cheope. Tale anacronismo ha portato gli studiosi ad etichettare la stele come un falso privo d’importanza storica. A mio avviso questa argomentazione però non è sufficiente, dato che la funzione della stele era quella di rimpiazzare una lapide più vecchia andata in rovina, evitando così che gli avvenimenti remoti del tempo di Cheope cadessero per sempre nella dimenticanza.

Perché allora considerarla un falso?

La parte più interessante del testo riguarda proprio la sfinge. La stele (traduzione tratta dall’opera già citata dell’egittologa Christiane Zivie-Coche) riporta:

“Lunga vita ad Horus Madjid, re dell’Alto e del Basso Egitto, Cheope, il vivente. Egli trovò il tempio di Iside, Signora delle piramidi, presso il tempio della Sfinge a nord ovest del tempio di Osiride, Signore del Ro-Setau; egli edificò (restaurò) la piramide della principessa Henutsen accanto a questo tempio. Egli fece scolpire per sua madre, Iside, madre divina, Hathor, signora dei Cieli, un inventario sulla pietra. Egli rinnovò per lei le offerte sacre e costruì (restaurò)il suo tempio di pietra. Ciò che egli trovò in rovina, ora è restaurato, e gli dèi sono di nuovo al loro posto.”

Il termine geroglifico “qd” riferito alle azioni edili compiute da Cheope sulla piana, può essere tradotto sia con “edificare” che con “restaurare” (vedere il Dizionario Egizio Rainer Hannig). Ma un indizio importante ci viene dato alla fine del testo della stele: “Ciò che egli trovò in rovina, ora è restaurato”, e questo fa pensare che Cheope si sia limitato a ristrutturare i monumenti che già erano sulla piana, non a costruirli o deificarli. La stele d’inventario quindi attesta alcuni lavori di restauro eseguiti nella piana di Giza durante l’Antico Regno, restauri fatti per ordine di Cheope. Dal momento che Cheope fi il predecessore di Khafre, quest’ultimo non può aver costruito la sfinge. Gaston Maspero arrivò addirittura a ritenere possibile che questa fosse stata eretta dai Seguaci di Horus, un lignaggio di semidei predinastici che avevano governato sull’Egitto per migliaia di anni. Tuttavia, in un secondo tempo, Maspero cambiò la propria opinione per adeguarsi a quanto diceva l’establishment ufficiale, sostenendo che poteva essere stata eretta anche d Khafre. Questo dimostra quanto pesi la valutazione Accademica e come possa influenzare il pensiero degli studiosi. Fortunatamente ci sono anche uomini coraggiosi come Hancock, West, Bauval e Schoch.

Curiosità – La barba della sfinge

In pochi lo sanno ma la sfinge un tempo aveva la barba. Questa oggi è divisa in due frammenti. Una parte si trova al British Museum (Qui sotto potete vedere la foto), l’altra, quella più grande, si trova invece nel Museo del Cairo, dove è conservato anche l’ureo. Molto probabilmente la barba deriva da un restauro avvenuto durante il Nuovo Regno. Questo si evince dal fatto che lo spazio pieno tra la barba e il collo della sfinge ha una rappresentazione di un sovrano inginocchiato (purtroppo il cartiglio e la testa del faraone non sono più visibili in quanto si sono sgretolati) Probabilmente però la barba non era presente durante l’Antico e Medio Regno, ma è un aggiunta posteriore avvenuta nel Nuovo Regno, dove ricordiamo la regina Hatshepsut,il faraone donna, per essere tale, aveva dovuto indossare una barba posticcia, assumendo così tutte le caratteristiche per essere faraone.  Forse fu proprio il restauratore della sfinge della XVIII dinastia, Thutmose IV ad aggiungere la barba al volto della sfinge.

L’importanza del contesto secondo l’egittologia ufficiale

Per l’egittologia ufficiale il contesto dove è stata costruita la sfinge confermerebbe che sia stata costruita da Khafre. Il fatto che sia circondata dalle tre piramidi costruite, sempre e solo per i soliti noti, durante la IV dinastia, avvallerebbe i ragionamenti portati avanti dall’Accademia. In effetti funzionari e persone vicine al faraone costruirono le proprie tombe nella piana di Giza, a est e a ovest delle piramidi. Centinaia di tombe hanno fornito i resti mortali e i manufatti di persone che costituirono la struttura amministrativa durante l’età delle piramidi. Le rovine di un’antica città che si estendeva lungo l’intera lunghezza della valle, relativa alla IV dinastia, darebbe una conferma alle ipotesi ufficiali sulla sfinge. Ma è davvero così? Dove sono queste prove schiaccianti? Gli egittologi non sanno che molto probabilmente anche le tre famose piramidi sono molto più antiche della IV dinastia? Perché fanno finta di niente?

Jhon Anthony West

Voglio introdurre ora un ricercatore americano indipendente, che ha dato filo da torcere all’Accademia, si chiama John Anthony West. Analizzando agli studi del matematico e simbolista francese Schwaller de Lubicz, West fu colpito dai riferimenti alle condizioni climatiche e alle inondazioni che colpirono l’Egitto attorno al 10.000 a.C. Leggiamo quelle stesse parole che hanno stimolato le riflessioni del ricercatore:

Una grande civiltà deve aver preceduto i vasti movimenti di acque che sommersero l’egitto, il che ci fa credere che la sfinge esistesse già, scolpita nella roccia della scogliera occidentale di Giza. Quella sfinge il cui copro leonino, eccettuata la testa, mostra segni inequivocabili di erosione provocata da acqua.”

Questo pone le basi per l’esistenza di una civiltà migliaia di anni prima di quella faraonica. Questo è un tema cruciale per la datazione della sfinge.

Il clima nell’Antico Egitto

Nel 17.000 a.C., l’ultima glaciazione aveva raggiunto la massima estensione tanto in Europa che in America. Fu allora che ebbe inizio la deglaciazione, che durò fino al 10500 a.C. Furono molti gli episodi di scioglimenti rapidi ed estesi, alcuni dei quali causarono morte e distruzione (questo soprattutto fino al 13.000 a.C.) Interessante è esaminare il periodo che va dal 13.000 al 10.500 a.C., quando in Egitto si formò una protoagricoltura nella valle del Nilo. L’avvio fu improvviso ed ebbe inizio con la comparsa di orzo già addomesticato, seguita dall’insediamento nel paese di alcune popolazioni agricole che non vivevano di caccia o di cibo raccolto. Dopo l’undicesimo millennio a.C. però ci fu una prolungata ricaduta in un mondo primitivo, senza agricoltura.

Ma com’era il tempo in quell’epoca?

Fino al 10.000 a.C. il Sahara era una savana verdeggiante con laghi e strapiena di selvaggina. Il clima era molto più fresco, nuvoloso e piovoso di quanto non sia oggi. In realtà dal 13.000 fino al 9.500 a.C. piovve senza sosta. E fu proprio alla fine di questo periodo che arrivarono grandi inondazioni. Dopodiché dal 9.500 al 7.000 a.C. le piogge si calmarono e ci fu un primo periodo di desertificazione, ma poi, dal 7.000 al 4.000 a.C.. ci fu un periodo di precipitazioni moderate che si rivelarono ottimali per l’agricoltura. Fu prima del 3.000 a.C. che il clima tornò arido e secco, dando così inizio a una nuova desertificazione. Per analizzare l’erosione della sfinge non si può che partire da questi dati e così farò. West aveva capito che sul clima e sull’erosione della sfinge si giocava la partita più importante. Queste le sue parole:

Se la teoria dell’erosione della sfinge a opera dell’acqua potesse trovare conferma, rovescerebbe tutte le cronologie accettate della civiltà; costringerebbe a una drastica rivalutazione della nostra storia.”

West aveva ragione, se le tracce lasciate da agenti meteorologici potessero essere attribuite con certezze all’acqua, le cronologie accreditate verrebbero messe in discussione. L’opinione iniziale di West era la seguente:

“L’erosione della sfinge a opera dell’acqua non può suscitare obiezioni per questioni di principio dal momento che si è concordi nel ritenere che, in altri tempi, l’Egitto subì cambiamenti climatici radicali e inondazioni periodiche dalle terribili alluvioni del Nilo. Si ritiene che le ultime corrispondano allo scioglimento dei ghiacci dell’ultimo periodo glaciale, generalmente datato al 15.000 a.C. circa. Ma l’ultima inondazione dovrebbe risalire al 10.000 a.C. Ne consegue che se la sfinge è stata erosa dall’acqua deve essere stata costruita prima dell’inondazione responsabile dell’erosione.”

West riconobbe in seguito che le inondazioni non avrebbero potuto provocare quel particolare tipo di erosione che si osserva sulla sfinge:

“Il problema è che la sfinge appare profondamente corrosa dall’acqua fino al collo. Questo implica un’inondazione di una ventina di metri sull’intera Valle del Nilo. È difficile immaginare inondazioni di questa portata. Peggio ancora, se la teoria fosse corretta, i blocchi interni del nucleo di pietra calcarea del cosiddetto Tempio Mortuario, situato alla fine della strada rialzata che parte dalla sfinge, sarebbero stati a loro volta corrosi dall’acqua e questo significa che le inondazioni raggiungevano la base delle piramidi, un’altra trentina di metri d’acqua.”

Quindi non potevano essere le inondazioni ad aver corroso la sfinge. Allora di che cosa si trattava?

L’ipotesi della pioggia

Nel 1989 West ebbe un incontro con il professor Robert Schoch della Boston University. Geologo molto stimato, stratigrafo e paleontologo, Schoch è un esperto studioso delle erosioni di roccia friabile molto simile alla pietra calcarea dell’altopiano di Giza. Inizialmente il geologo accolse con un certo scetticismo la teoria di una sfinge molto più antica, ma cambio idea dopo una prima visita al sito nel 1990. Anche se non gli fu consentito oltrepassare il recinto della sfinge, dal punto di osservazione destinato ai turisti, poté vedere a sufficienza per confermare che il monumento sembrava realmente eroso dall’acqua. Gli apparve subito chiaro che questa erosione non era dovuta a inondazioni, ma a precipitazioni. Alcuni anni dopo, grazie all’appoggio del rettore della Boston University, Schoch ottenne l’autorizzazione dal E.A.O. (Egyptian Antiquities Organization) e poté così eseguire un vero e proprio studio geologico sull’erosione della sfinge. Fu John West a capeggiare il gruppo di studio che comprendeva anche un geofisico professionista, il dottor Thomas L. Dobecki. Tutto sarebbe stato ripreso con una telecamera. Successivamente, il film di West sarebbe stato visto da 33milioni di persone. Il primo risultato interessante lo si deve a Dobecki, che aveva realizzato test sismografici attorno alla sfinge. Aveva trovato anomalie e cavità nella roccia tra le zampe e lungo i lati della sfinge. Una delle cavità fu descritta così:

“Appariva piuttosto larga; nove metri per dodici di estensione, profonda meno di cinque metri. Questa forma regolare, un rettangolo, non si trova nelle cavità naturali […] il che induce a credere che possa essere stata scavata dall’uomo.”

West ricorda che anche Schoch abbandonò subito l’iniziale perplessità:

“La sfinge profondamente erosa e la parete del suo fossato, e le tombe dell’Antico Regno a Sud (databili all’epoca di Khafre), relativamente poco erose o chiaramente sottoporte all’azione del vento, erano scavate nel medesimo blocco di roccia. Secondo il geologo era dunque geologicamente possibile attribuire queste strutture al medesimo periodo di tempo. I nostri scienziati concordavano. Soltanto l’acqua, e più precisamente la pioggia, poteva aver prodotto l’erosione atmosferica che avevamo osservato.”

Zahi Hawass

Fu proprio in quel momento cruciale che il dottor Hawass, direttore sovrintendente del E.A.O., all’improvviso e inaspettatamente, bloccò i lavori. Ritenendo che le operazioni degli studiosi potessero rovinare la sfinge, accusò gli americani di danneggiare i monumenti:

“Ho scoperto che il loro lavoro consisteva nell’installazione di endoscopi nel corpo della sfinge e nel filmare tutte le fasi dell’operazione per fini pubblicitari […] ma non in modo scientifico. Perciò ho fatto sospendere i lavori di questa missione non scientifica e ho steso un rapporto per poi presentarlo alla commissione permanente, che ha vietato, per il futuro, qualsiasi altro intervento da parte di questo gruppo.”

Hawass aveva letteralmente cacciato il gruppo di americani dal sito. Fortunatamente il suo intervento era giunto troppo tardi per impedire loro di raccogliere i dati geologici fondamentali di cui avevano bisogno.

L’argomentazione di Schoch

Ritornato a Boston, con grande gioia di West, Schoch era ora disponibile a sostenere fino in fondo la teoria di una sfinge erosa dalla pioggia, con tutte le immense implicazioni storiche che generava. Il lavoro di Schoch ricevette il totale sostegno dei paleoclimatologi e si fonda su fatto che piogge copiose come quelle che avevano lasciato le caratteristiche tracce di erosione sulla sfinge avevano cessato di cadere sull’Egitto migliaia di anni prima del 2500 a.C., epoca nella quale gli egittologi ritengono sia stata costruita la sfinge. Schoch, con un’ipotesi molto cauta, affermò che la sfinge potesse risalire a un periodo collocabile tra il 7000 e il 5000 a.C. In quel periodo, la Valle del Nilo era popolata esclusivamente dai primitivi del Neolitico, cacciatori e raccoglitori, la cui capacità di costruire attrezzi da lavoro si limitava all’affilatura di pietre e pezzi di legno.

Come reagirono gli egittologi?

Peter Lecovara disse che quell’interpretazione fosse ridicola. Carol Redmont, archeologa dell’University of California, affermò che non potesse essere vero perché la popolazione egizia di quel tempo non aveva la tecnologia, le istituzioni e neppure la volontà di costruire una struttura di quel genere.

Zahi Hawass si espresse in questi termini:

“Allucinazioni americane! West è un dilettante. Tutto questo è privo di qualsiasi base scientifica. Nella stessa zona abbiamo monumenti più antichi, e non sono stati affatto costruiti da uomini provenienti dallo spazio o da Atlantide. Sono tutte sciocchezze, e non permetteremo che i nostri monumenti vengano sfruttati per fini di arricchimento personale. La sfinge è l’anima dell’Egitto.”

Gli egittologi erano irritati dall’intrusione di una scienza empirica come la geologia nell’intimità del loro esclusivo territorio accademico.

L’ipotesi di West

West intendeva spingersi un po’ più avanti di quanto Schoch fosse disposto a fare e sentiva che il geologo era stato troppo cauto e accomodante facendo risalire la sfinge al 7000-5000 a.C.:

“Su questo punto io e Schoch non siamo d’accordo, o meglio interpretiamo gli stessi dati in modo diverso. Schoch, molto prudentemente considera i dati nel modo meno scioccante […] io invece sono ancora convinto che la sfinge debba essere fatta risalire alla fine dell’ultimo periodo glaciale. […] Se la sfinge risalisse soltanto al 7000-5000 a.C. avremmo altre prove della civiltà egizia che la scolpì.”

Per West la sfinge era da datare al 10000 a.C. Malgrado il loro amichevole disaccordo a proposito della datazione della sfinge, Schoch e West presentarono un compendio della ricerca effettuata a Giza ottenendo il consenso quasi unanime dei geologi che concordarono con la logica delle loro affermazioni e offrirono un aiuto concreto e consigli per proseguire le ricerche. Purtroppo, dal 1993 il governo egiziano ha accolto la richiesta degli egittologi occidentali di proibire qualsiasi ulteriore ricerca geologica o indagine sismica intorno alla sfinge. Un provvedimento sorprendente se si considera l’importanza delle implicazioni delle scoperte di Schoch, e ancor più sorprendente perché la sua originale testimonianza non è stata ancora contrastata in modo convincente in alcun convegno.

A voi le conclusioni.

Fonte il testo di Graham Hancock e Robert Bauval Custode della genesi.

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