Il Cristo Nero

Copia o archetipo? Su questo si sono confrontati, sabato 29 ottobre, i relatori nel convegno “Il Volto Santo di Bocca di Magra da copia ad archetipo” svoltosi nella suggestiva cornice del Monastero di Santa Croce dei Padri Carmelitani Scalzi, che, assieme all’Istituto Internazionale di Studi Liguri e al Comune di Ameglia, hanno promosso l’incontro.
A tentare una risposta sono stati Piero Donati, curatore scientifico dell’evento, con la relazione introduttiva, il docente dell’ateneo fiorentino Fulvio Cervini (“Volti Santi e statuaria lapidea. Qualche spunto di riflessione”, Clario Di Fabio, dell’Università di Genova (“La Santa Croce dei Lucchesi a Genova: l’immagine di un Volto Santo perduto”) e Monica Baldassari dell’Università di Pisa (“Il Volto Santo e la monetazione lucchese del secolo XIII”).
Ad introdurre l’argomento, dopo i saluti del Sindaco di Ameglia e di Mons. Luigi Ernesto Palletti, vescovo della Spezia (“un momento importante, perché il volto, per il credente, manifesta l’interiorità della persona e, pertanto, per noi avere di fronte una riproduzione, sia pure iconica, del volto di Cristo è un richiamo forte al mistero della Redenzione”), è stata Eliana Vecchi, presidente della sezione lunense dell’Istituto di Studi Liguri, che ha proposto quanto ha scoperto sulla fondazione monastica del Corvo, sulla sua dedicazione e sulla presenza del crocifisso ligneo tunicato nella chiesa del Corvo, che rimanda alla leggenda secondo la quale nell’VIII secolo l’effigie era giunta a Luni dall’Oriente, trasportata da una nave senza nocchiero spinta dal vento.

La situazione degli studi sul Volto Santo di Luni è stata tracciata da Donati. Si tratta di una statua polimaterica con gli occhi in pasta vitrea e con parti in pioppo (testa e torace), noce (piedi) e salice (mani e parte delle maniche): elementi che hanno subito gli effetti del tarlo rendendo necessaria, prima, la sostituzione di parti della statua e, poi, restauri anche recenti, nel 1957 ed alla fine del secolo scorso. La collocazione è una piccola cappella nell’abside di un edificio in laterizio (materiale poco comune in Val di Magra), dapprima affidata ai monaci pulsanesi di Pisa e, nel 1453, alla mensa capitolare di Sarzana, che la ricevette dopo un lungo periodo di abbandono.
Sulla storia della collocazione ci sono molte incertezze. La statua pare essere rimasta per un certo periodo a Sarzana, non si sa dove, per essere portata al Corvo in un tempo compreso fra il 1655 ed il 1666. Lì trovò – così la Visita pastorale del 1715 – una “decens” ubicazione, “convenientemente dotata di suppellettile”. Il 1655 corrisponde al rilancio, a Lucca, del culto della Santa Croce, voluto dal governo della città toscana e tradottosi in un “proliferare di altari, confraternite e oratori” in area lucchese e nella antica diocesi di Luni, dove anche avevano libero corso i “barboni” di Lucca, le monete che riportavano la “testa barbata del Volto Santo”. Ma da dove veniva l’effigie di Bocca di Magra? Il pioppo – sostiene Donati – è presente in Italia e, probabilmente l’immagine, per un certo periodo, deve essere stata ricoperta con vesti e cintura, così da rendere inutile, nell’antico rifacimento, la continuazione delle pieghe dell’abito, che si notano nella parte superiore, la più antica. Di qui l’attenzione alla testa, con una carrellata sulle immagini del Cristo nel Nord Europa, dalla Westfalia (il rilievo rupestre di Externsteine), a Colonia (la porta lignea della chiesa di Santa Maria im Kapitol e la lunetta della chiesa di S. Cecilia), a Lovanio (la Curva Crux), a Bonn (i rilievi della chiesa rurale di Gustorf nel Rheinisches Landesmuseum), fino al duomo di Lodi (le figure degli stipiti del portale). C’è – ha detto Donati – un cammino che va dalla Renania alla Padana, percorso da artigiani che lavorarono anche al duomo di Modena, affiancato ad un secondo, che da Lucca, importante centro sulla via dei pellegrinaggi, va al Nord Europa: Guglielmo II d’Inghilterra giurava “per sanctum Vultum de Luca” e Leofstan, “abate di Bury St. Edmunds, vide nel 1050 durante il suo pellegrinaggio a Roma, facendola misurare per poterne commissionare una copia per la propria abbazia” la “crux magna quae colitur in civitate lucana”. Ma quale croce? A Lucca, in San Martino, prima del 1109 dovevano essercene due, una dipinta ed un “crux vetus”, avversata dal vescovo Rangerio, perché “peregrina religio”, culto venuto da fuori, assieme ai Franchi, legato alla cristianizzazione delle isole britanniche. Una devozione controversa, non priva di ostacoli, che si riferiva a simulacri con precise caratteristiche, descritte da Buoncompagno da Signa e riscontrabili, alcune, nei Volti Santi di Lucca e del Corvo, ma altre presenti solo in quest’ultimo. Ulteriori elementi vengono dall’analisi delle vesti (che rimandano alla narrazione della crocifissione) ed all’iconografia nelle monete lucchesi, da cui può discendere la convinzione che alla base di tutto vi fosse un archetipo, che Donati identifica colla “crux vetus” di Lucca. Questa, riportata al culto dei fedeli dal collegio canonicale di san Martino dopo la morte di Rangerio nel 1112, proveniva probabilmente dalla distrutta chiesa “Domini et Salvatoris”; nel XIII secolo, deteriorata e non più idonea per una così sentita venerazione fu conservata a Lucca in un luogo sicuro (“questo – ha detto Donati – ne sono ben consapevole, è l’anello più debole della catena”) e, attorno alla metà del secolo XVII, fu trasportata a Sarzana e poi a Bocca di Magra. È l’immagine da cui derivano il Volto Santo del duomo di Braunschweig e della cattedrale di Amiens e le maestà della Catalogna e del Roussillon, mentre dall’esemplare lucchese vengono le raffigurazioni dipinte, compresa quella – ha concluso Piero Donati – della metà del secolo XIV “nel presbiterio della chiesa di sant’Agostino a Vicenza, la quale ci mostra un Volto Santo dalle fattezze decisamente nordiche”.
Tratto da https://www.ilcorriereapuano.it/2016/11/bocca-magra-unantica-effige-del-cristo-richiama-esperienze-artistiche-nordeuropee/

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