
Anno di pubblicazione 1980
Robyn Ballantyne, figlia di un esploratore, medico, scrittore ed evangelizzatore di non limpida fama, decide di partire con il fratello Zouga alla ricerca del padre, disperso anni prima mentre risaliva lo Zambesi. Anche la giovane è animata da ardore missionario e intende documentarsi sull’ancor florida – siamo nel 1860 – tratta degli schiavi per contribuire a porvi fine. Fatalmente, il clipper che la conduce in Africa è una nave negriera, e Robyn ha la disgrazia d’innamorarsi del suo comandante e proprietario Mungo St John, giovane e fascinoso avventuriero che prospera con quel turpe commercio. Giunta in Africa, la ragazza segue la Via degli Schiavi, mentre suo fratello si dà alla caccia grossa e alla ricerca della scomparsa città di Monomotapa e delle sue mitiche miniere d’oro, in un’Africa sempre nuova e imprevedibile, che partorisce dal suo grembo verde cupo idoli di pietra e profetesse nude. Ma non tutta la vicenda si dipana in terraferma: questo romanzo di Wilbur Smith è anche un poderoso racconto di mare che vede come protagonisti d’eccezione gli ultimi velieri e i rudi uomini che li manovravano. Epopea dell’Africa ed epopea della vela: due mondi dissimili ma ugualmente favolosi che si specchiano l’uno nel destino dell’altro, colti nel momento in cui battono gli ultimi colpi d’ala… almeno fino a quando – come asserisce la leggenda africana – i falchi non torneranno a volare.
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Cosa ne penso
Non male, pur essendo la fotocopia di altri suoi libri. Appassionante, una pagina tira l’altra, avventura, passione, tutto quello che serve per entusiasmare. Naturalmente deve piacere il genere, e non dovete leggere due suoi libri di fila, altrimenti sembrerà sempre lo stesso. Per chi ama l’autore.
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