In questa sezione riporterò, uno a settimana, i pensieri e le parole di personaggi che hanno raggiunto i propri sogni … perché nella vita tutto è possibile.
Ad Astra
Jim Carrey
“Quando avevo circa 28 anni, dopo un decennio passato a fare il comico professionista, una notte a Los Angeles ho realizzato che lo scopo della mia vita è sempre stato di liberare le persone dalla preoccupazione… proprio come mio padre. Ho fatto qualcosa che fa sì che le persone mi presentano il meglio di se stesse ovunque io vada… Come servirai il mondo? Hanno bisogno di qualcosa che il tuo talento può dare? Questo è tutto ciò che devi capire. Te lo posso dire per esperienza: l’effetto che hai sulle altre persone è la migliore moneta che ci sia… Ciò che siamo giace da qualche parte oltre la persona, oltre la percezione degli altri, oltre la maschera e la finzione e anche oltre lo sforzo stesso… Per trovare la vera pace devi lasciare andare la corazza… Non permettere a niente di oscurare la luce che brilla dalla tua forma, rischi di essere visto in tutta la tua gloria… Come molti di voi, io ero preoccupato di andare nel mondo e fare qualcosa più grande di me stesso, finché non ho incontrato qualcuno più sveglio di me che mi ha fatto realizzare che niente è più grande di me stesso… Sto facendo una scelta conscia di percepire le sfide come qualcosa di benefico…
Will Smith

Ecco a voi un pensiero dell’attore Will Smith, parole che potrebbero aiutare molti a fare un’importante scelta nella propria vita e che, anche se dette da un altro, sento come mie.
“Ognuno di noi è speciale, basta rendersene conto. Tutto sta nel capire chi siamo, solo così possiamo utilizzare le nostre forze e indirizzarle per realizzare i nostri sogni. Solo così cominci a fare quello che devi fare. Voglio parlarvi del talento e distinguerlo dalle capacità: il talento è una dote naturale, le capacità invece si migliorano solo con il lavoro e la dedizione. Io non mi considero una persona di talento, ma sono uno che non molla mai. Quello che mi contraddistingue è un’assurda, folle etica lavorativa. Quando gli altri dormono, io lavoro; quando gli altri mangiano, io lavoro; quando gli altri si divertono, io lavoro. Forse penserete che è da pazzi, che sia una vita solo di stenti e sacrificio, ma non è così, perché se dedicate il tempo per inseguire il vostro sogno non sentite la fatica, non pensate “vorrei essere da un’altra parte”, ma siete felici di stare dove siete per poter raggiungere e dare compimento alla vostra vita. Non c’è altra via, il talento ti lascia a piedi se non cerchi di sviluppare le tue capacità. Se non studi, se non ci lavori su, se non dedichi mente e corpo al tuo sogno non lo realizzerai. L’unica cosa che mi distingue dagli altri è che non ho paura di morire sul tapis-roulant. Puoi avere più talento di me, essere più dotato e intelligente di me, ma se entrambi salissimo sul tapis-roulant ci possono essere solo due finali: o l’altro si arrende o io muoio correndo, ci lascio la pelle. Non vi arrendete mai, solo così potrete realizzare i vostri desideri. In quello che fai ci devi credere tu per primo, altrimenti come potranno farlo gli altri? Confucio diceva: “Chi crede di farcela e chi non crede di farcela di solito finiscono con l’avere ragione entrambi”.
Steve Jobs
Quasi nove anni fa ci lasciava Steve Jobs, una delle personalità più visionarie della nostra epoca. Mi piace ricordarlo attraverso il discorso che tenne ai neolaureati di Stanford nel giugno 2005
“Sono onorato di essere qui con voi oggi alle vostre lauree in una delle migliori università del mondo. Io non mi sono mai laureato. Anzi, per dire la verità, questa è la cosa più vicina a una laurea che mi sia mai capitata. Oggi voglio raccontarvi tre storie della mia vita. Tutto qui, niente di eccezionale: solo tre storie. La prima storia è sull’unire i puntini. Ho lasciato il Reed College dopo il primo semestre, ma poi ho continuato a frequentare in maniera ufficiosa per altri 18 mesi circa prima di lasciare veramente. Allora, perché ho mollato? È cominciato tutto prima che nascessi… Diciassette anni dopo andai al college. Ma ingenuamente ne scelsi uno altrettanto costoso di Stanford, e tutti i risparmi dei miei genitori finirono per pagarmi l’ammissione e i corsi. Dopo sei mesi, non riuscivo a vederci nessuna vera opportunità…Così decisi di mollare e avere fiducia che tutto sarebbe andato bene lo stesso. Era molto difficile all’epoca, ma guardandomi indietro ritengo che sia stata una delle migliori decisioni che abbia mai preso. Di nuovo, non è possibile unire i puntini guardando avanti; potete solo unirli guardandovi all’indietro. Così, dovete aver fiducia che in qualche modo, nel futuro, i puntini si potranno unire. Dovete credere in qualcosa – il vostro ombelico, il destino, la vita, il karma, qualsiasi cosa. Questo tipo di approccio non mi ha mai lasciato a piedi e invece ha sempre fatto la differenza nella mia vita. Qualche volta la vita ti colpisce come un mattone in testa. Non perdete la fede, però. Sono convinto che l’unica cosa che mi ha trattenuto dal mollare tutto sia stato l’amore per quello che ho fatto. Dovete trovare quel che amate. E questo vale sia per il vostro lavoro che per i vostri affetti. Il vostro lavoro riempirà una buona parte della vostra vita, e l’unico modo per essere realmente soddisfatti è fare quello che riterrete un buon lavoro. E l’unico modo per fare un buon lavoro è amare quello che fate. Se ancora non l’avete trovato, continuate a cercare. Non accontentatevi. Con tutto il cuore, sono sicuro che capirete quando lo troverete. E, come in tutte le grandi storie, diventerà sempre migliore mano a mano che gli anni passano. Perciò, continuate a cercare sino a che non lo avrete trovato. Non vi accontentate. Quando avevo 17 anni lessi una citazione che suonava più o meno così: “Se vivrai ogni giorno come se fosse l’ultimo, sicuramente una volta avrai ragione”. Mi colpì molto e da allora, per gli ultimi 33 anni, mi sono guardato ogni mattina allo specchio chiedendomi: “Se oggi fosse l’ultimo giorno della mia vita, vorrei fare quello che sto per fare oggi?”. E ogni qualvolta la risposta è “no” per troppi giorni di fila, capisco che c’è qualcosa che deve essere cambiato. Ricordarsi che morirò presto è il più importante strumento che io abbia mai incontrato per fare le grandi scelte della vita. Perché quasi tutte le cose – tutte le aspettative di eternità, tutto l’orgoglio, tutti i timori di essere imbarazzati o di fallire – semplicemente svaniscono di fronte all’idea della morte, lasciando solo quello che c’è di realmente importante. Ricordarsi che dobbiamo morire è il modo migliore che io conosca per evitare di cadere nella trappola di chi pensa che avete qualcosa da perdere. Siete già nudi. Non c’è ragione per non seguire il vostro cuore. Più o meno un anno fa mi è stato diagnosticato un cancro. Ho fatto la scansione alle sette e mezzo del mattino e questa ha mostrato chiaramente un tumore nel mio pancreas. Non sapevo neanche che cosa fosse un pancreas. I dottori mi dissero che si trattava di un cancro che era quasi sicuramente di tipo incurabile e che sarebbe stato meglio se avessi messo ordine nei miei affari (che è il codice dei dottori per dirti di prepararti a morire). Questo significa prepararsi a dire ai tuoi figli in pochi mesi tutto quello che pensavi avresti avuto ancora dieci anni di tempo per dirglielo. Questo significa essere sicuri che tutto sia stato organizzato in modo tale che per la tua famiglia sia il più semplice possibile. Questo significa prepararsi a dire i tuoi “addio”. Ho vissuto con il responso di quella diagnosi tutto il giorno. Nessuno vuole morire. Anche le persone che vogliono andare in paradiso non vogliono morire per andarci. E anche che la morte è la destinazione ultima che tutti abbiamo in comune. Nessuno gli è mai sfuggito. Ed è così come deve essere, perché la Morte è con tutta probabilità la più grande invenzione della vita. È l’agente di cambiamento della vita. Spazza via il vecchio per far posto al nuovo. Adesso il nuovo siete voi, ma un giorno non troppo lontano diventerete gradualmente il vecchio e sarete spazzati via. Mi dispiace essere così drammatico ma è la pura verità. Il vostro tempo è limitato, per cui non lo sprecate vivendo la vita di qualcun altro. Non fatevi intrappolare dai dogmi, che vuol dire vivere seguendo i risultati del pensiero di altre persone. Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui offuschi la vostra voce interiore. E, cosa più importante di tutte, abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione. In qualche modo loro sanno che cosa volete realmente diventare. Stay Hungry. Stay Foolish. Io me lo sono sempre augurato per me stesso. E adesso che vi laureate per cominciare una nuova vita, lo auguro a voi. Siate affamati, siate folli. Grazie a tutti.
Steve Jobs
Ecco il video del discorso di Steve Jobs
Da Zero a Leggenda
Questa è una favola a lieto fine. Contiene buoni sentimenti, momenti da lacrima facile ed è un racconto di formazione e riscatto morale. Con una premessa del genere sembrerebbe un classico disneyano o una storia piena di positività di Steven Spieberg e invece no. Non ci sono famiglie allegre, animali parlanti o anime candide, in questo racconto le lacrime si mescolano con il sangue e il sudore, mentre il buonismo va KO a suon di montanti.
Quindi potete star tranquilli, anche se il vostro cuore è più nero e tetro di quelli di Voldemort, Malefix e Agente Smith messi insieme. Perché questa è la storia che ha permesso ad uno degli attori macho per eccellenza di mettere piede ad Hollywood e non uscirne più. Ed è il racconto che ogni persona propensa a rimandare qualsiasi cosa e ad arrendersi facilmente dovrebbe leggere e prenderne spunto. Perché Stallone e il suo Rocky ce l’hanno fatta partendo da zero. Anzi molto meno. Hollywood è da sempre considerata la fabbrica dei sogni. Milioni di attori alle prime armi e ai primi copioni si affacciano a Los Angeles, prontamente baciati e cullati dai raggi del sole californiano. Per molti, quasi tutti, quel tepore e quell’accoglienza rimarranno l’unica cosa positiva e calda di quest’esperienza. Bagnati da una pioggia acida generata da provini inconcludenti e relegati al vagare spaesato tra duri e grigi marciapiedi di Sunset Boulevard. Tra barboni con il cartone di vino in mano e l’odore acre proveniente dal braciere dei sogni infranti, con l’amara presa di coscienza che la gloria ha la stessa consistenza della nebbia. In questo girone infernale in cui la finzione danza beffardamente con la sopravvivenza, arriva Sylvester Stallone. È il 1974, Sly ha 28 anni e una pesante valigia di insuccessi, tra rifiuti per parti che lo avrebbero finalmente lanciato come attore, Il Padrino su tutti, e piccole, quasi invisibili presenze in qualche film. Pagato e trattato come una comparsa, negli anni precedenti viveva a New York e provava ogni giorno a farsi notare da registi e produttori, che proprio non apprezzavano il suo modo di recitare e quell’espressione facciale bizzarra, dovuta ad un nervo reciso durante la nascita.
Pochi dollari in tasca e un appartamento lurido sopra la fermata di una metro, condiviso con i peggiori coinquilini di sempre, gli scarafaggi. L’unica compagnia e fonte del minimo quantitativo di gioia per andare avanti si chiamava Buktus, il suo fidato e inseparabile cane. In questa sporca e piccola dimora Stallone studia come diventare sceneggiatore, si legge centinaia di copioni e inizia un percorso parallelo a quello di attore. Anche qui senza successo, i suoi scritti, firmati Q Moonblood, non vengono apprezzati e spesso nemmeno letti. Le finanze sono in rosso, le scarpe sono bucate e non ci sono soldi nemmeno per fare la spesa e mangiare. È in quel momento che a Sly non rimane altro che fare un gesto estremo per potersi pagare lo stretto necessario per arrivare in vita al termine della giornata: vende Buktus per 40 dollari. È il punto più basso della sua vita ed è lì che inizia a muoversi qualcosa, perché più in fondo di così non poteva andare. Negli anni seguenti le cose vanno leggermente meglio, ma le stelle di Hollywood sono ancora distanti anni luce. Quando, nonostante centinaia di tentativi, non riesci ad ottenere quello che sogni ci sono solamente due alternative: abbandonare o perseverare. La fuga è la via più facile, mollare tutto e fare altro, ma il protagonista di questa favola possiede un vocabolario, in cui manca completamente la pagina contenente il verbo arrendersi.
Da piccolo soffriva di rachitismo e ha passato giornate intere in palestra mentre gli altri se la spassavano, da ragazzo non aveva soldi per studiare recitazione e lavorava per permettersi la facoltà di arte drammatica facendo di tutto, anche l’inserviente allo zoo, spalando letame. Quando si persevera, può capitare che una piccola scintilla si insinui sul proprio percorso e generi quel fuoco capace di illuminare la via smarrita. Per Stallone quel tenue bagliore si è acceso improvvisamente una sera di marzo del 1975, durante la visione dell’incontro di boxe tra il super campione Muhammad Ali e un pugile semisconosciuto, Chuck Wepner. Nessuno avrebbe scommesso un dollaro sul “il sanguinante di Bayonne“, quel pugile dal fisico imponente ma dal pedigree pugilistico sottilissimo. Inizia l’incontro e Alì va subito all’attacco, scaricando di colpi l’avversario. Tra il pubblico subito si rumoreggia e si inizia già a pensare cosa fare da lì a poco, pensando ad un KO fulmineo. Wepner però, tra lo stupore generale, resiste ed incassa senza mai andare in difficoltà. La resistenza del pugile sorprende tutti, Alì compreso, che, spiazzato, continua ad attaccare, inutilmente. Alla nona ripresa addirittura il colpo di scena: Ali colpito dal suo piccolo, ma grande avversario cade e va al tappeto. Si rialza, ma il leitmotiv dell’incontro è lo stesso: Wepner resiste. Lo farà per altre apparentemente interminabili riprese e solo alla quindicesima e ultima cadrà KO. Come un eroe. Nei giorni successivi all’incontro l’immagine di quel boxeur ostinato e caparbio non abbandona i pensieri di Sly. Eccolo, ancora lì sul ring allestito nella sua mente, ma ha nuove sembianze: le sue. Un flusso di idee arriva con la potenza di uno Tsunami e una folgorazione di tale portata merita di essere esternata. Alle sei di una mattina baciata dall’ispirazione Stallone si chiude nella sua piccola abitazione, armato di un blocco di fogli bianchi e una Bic. Inizia a scrivere e non si ferma più. Tre giorni intensi, di cui uno trascorso scrivendo per venti ore senza nessuna interruzione. Un mito della storia del cinema viene magicamente alla luce.
È la storia di un boxeur italoamericano semisconosciuto, emarginato, proveniente dai bassifondi della società americana, che diventa il portavoce di tutti quelli mandati al tappeto dalla vita, ma con un’incrollabile voglia di ribaltare il proprio destino. “Nessuno colpisce duro come la vita”, ma non ci sono ostacoli, umiliazioni in grado di fermare chi resiste e reagisce alle avversità. Perché l’America in fondo è il paese in cui i sogni si realizzano e il self made man esiste e ha un nome: Rocky Balboa.
Il potenziale del copione è enorme e con la scusa di un provino come attore, Stallone inizia a parlare del suo progetto con Irwin Winkler e Robert Chartoff, produttori della United Artists. Lo script e lo stile di Rocky catturano subito l’attenzione dei due producer, che ne rimangono folgorati e vogliono assolutamente realizzare il film. Per quella sceneggiatura magistrale vengono offerti ben trecentosessantamila dollari, una cifra incredibile per uno che sul proprio conto aveva poco più di cento dollari. Chiunque avrebbe accettato, in fondo è una cifra che in quel momento poteva fare incredibilmente comodo e il proprio nome sarebbe stato abbinato ad una splendida favola americana. Gli attori che avrebbero potuto interpretare Rocky erano già stati individuati e la scelta era già circoscritta: Ryan O’Neal, Burt Reynolds o James Caan.
Ma cosa c’è di meglio di un colpo di scena in una favola? Stallone dice no alla proposta dei due produttori, perché vuole a tutti i costi interpretare come attore il suo Rocky. Troppo simili le due storie per non farle combaciare in un’apoteosi della rivincita morale e sociale. I due produttori sono spiazzati, ma sono alle corde e dopo aver visto Happy Days – La Banda dei fiori di pesco, in cui Stallone aveva recitato e per cui era stato pagato con 25 T-shirt (!), accettano e stanziano tre milioni di dollari come budget, poi tagliato di 950 mila dollari. Per Sly fu stabilito il compenso salariale minimo, 350 dollari a settimana.
Bisognava completare il cast, soprattutto intorno al ruolo di Apollo Creed c’erano diverse perplessità, legate alla volontà di scritturare un pugile vero, per rendere le scene sul ring ancor più realistiche. Venne preso seriamente in considerazione Joe Frazier, ex campione dei pesi massimi, ma le cose non andarono propriamente nel verso giusto. Il provino andò in scena direttamente sul ring e Stallone/Rocky dopo pochi secondi perse ai punti, di sutura però. L’opzione boxeur professionista venne subito scartata, visto il divario tecnico con Stallone, che mai sarebbe potuto essere all’altezza, anche dei movimenti, di un rivale con esperienza pluriennale nel pugilato. Venne scelto un altro sportivo, pescato però nel football americano, Carl Weathers.
L’urlo iconico “Adriana“, così sofferto e straziante, potrebbe essere legato anche all’estenuante ricerca dell’attrice che la impersonasse. Una vera e propria Odissea, che coinvolse decine di attrici, tutte con esito negativo: inizialmente fu scelta Susan Sarandon, ma fu subito scartata perché ritenuta troppo sensuale dai produttori. Poi furono opzionate Cher e Bette Midler, ma l’accordo non fu mai trovato; Carrie Snodgrass arrivò ad un passo dall’essere scritturata, ma il suo agente fece delle richieste giudicate troppo esose dalla produzione. Quando mancavano pochi giorni dalle riprese e il malumore per il cast incompleto aleggiava sul set, ecco presentarsi al provino Talia Shire. Citando Mulholland Drive: “È lei la ragazza“. Visti i tempi ristretti e il budget ridotto all’osso, Stallone inserì molti conoscenti e parenti per interpretare ruoli minori: il padre Frank era il cronometrista del combattimento con Creed, suo fratello Frank Jr un musicista di strada. Perché Rocky era in tutto e per tutto una creatura di Sly, un’estensione del suo io e della sua storia. Dopo appena 28 giorni di riprese il film fu pronto e il finale di questa storia lo conoscete tutti. Uno dei migliori happy ending della storia del cinema. Qualcuno potrebbe obiettare: però Buktus è stato venduto per una manciata di dollari e Stallone non è stato più accanto al suo unico amico dei momenti bui. Obiezione pertinente, ma questo è un finale lieto al 100% e non c’è spazio per sfumature negative. Infatti, poco dopo aver stretto l’accordo con i produttori e aver ricevuto i primi compensi, Stallone compie un gesto immediato e istintivo, prima di ogni spesa superflua. Corre dall’uomo che aveva comprato il cane per 40 dollari e lo ricompra, per ben quindicimila dollari. E il cane che vediamo in Rocky è proprio Buktus.